di Valentina Ecca
07.01.2021
Tempo di lettura 10'
Un giorno di pioggia K Magazine incontra Cicalone e non per caso, anzi! Abbiamo bramato questo incontro per mesi interi ed era tutto calcolato nei minimi dettagli.
Volevamo portarlo nei posti più iconici di Roma: il Colosseo, la Fontana di Trevi, i Fori Imperiali, Trastevere, e fotografarlo come un vate contemporaneo quale Cicalone è. Invece no.
Il diluvio ci ha colto e così ci siamo rintanati in un bar di Viale Aventino, dopo un’ora d’intervista ci ha portati a mangiare una delle cacio e pepe più buone di Roma e infine l’abbiamo seguito in un luogo proibito di Testaccio, uno di quei posti dove solo il Cicalone può entrare. Alla fine è stato meglio così, perché se c’era una cosa che sapevamo essere certa è che Simone conosce tutti.
Un po’ come il Jep Gambardella di Sorrentino può aprire qualsiasi porta della Capitale. Ma non quelle raccontate da “La grande bellezza”, la Roma di Cicalone è un’altra.
È quella che si vive in strada nei quartieri criminali, in mezzo ai borgatari che fanno paura solo a chi non li conosce.
Cicalone è un attento osservatore della gente, soprattutto quella di periferia. Con lui chiunque si apre, racconta qualsiasi cosa, dai reati commessi ai traumi familiari, dagli anni in carcere ai problemi di tossicodipendenza.
Cicalone è uno psicologo con la telecamera sempre accesa pronto a documentare tutto quello che gli succede intorno. Cicalone si ispira a Pasolini, molti storceranno il naso per il paragone forse eccessivo, e l’errore sta proprio lì, sta nel giudicare, cosa che Cicalone non fa mai e proprio per questo è credibile, creduto e amato.
Lo abbiamo incontrato e abbiamo provato a fargli qualche domanda, ma contenerlo è davvero complesso per cui preparatevi a un’intervista a ruota libera dove si è parlato di criminalità, Brumotti, droga e estrema destra.
Buona visione e buona lettura.
Foto © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Filmmaker © Andrea Sanna / LUZ
Edit video © Arianna Bassani / LUZ
Ciao Simone, parlaci del tuo canale e di come nasce la tua vita da youtuber
La mia presenza sui social nacque quando comprai un sacco da boxe, lo testai e lo attaccai al muro. Tanta gente mi chiese informazioni e mi chiese di fare un video e invece di mandarlo a tutti pensai di caricarlo su YouTube, era il 2009 e a fine giornata l’avevano visto più di mille persone - all’epoca erano veramente parecchie. La gente mi chiedeva cose sulla boxe e decisi di fare dei tutorial, ma mi sembrava tutto troppo serio così ho iniziato con delle parodie sul “menare”. Fingevo di essere un buttafuori, perché era una figura che poteva fare tutto - non come adesso - e uscivano i mostri. Io raccontavo i buttafuori esasperandoli e trollandoli, fingevo di essere loro. La gente ci credeva, alcuni ridevano e poi c’erano i classici analfabeti funzionali - quelli che vedono un video e non lo capiscono - che pensavano fossi davvero un buttafuori. Pensa che addirittura su un forum di MMA c’era un gruppo di ragazzi che volevano venirmi a menare al locale [dove ovviamente non lavorava, ndr].
Queste parodie erano andate benissimo su YouTube, a un certo punto però ho dovuto smettere: lavoravo per un’azienda importante in un ruolo di rilievo quando qualcuno ebbe la brillante idea di mandare i miei video al direttore del personale che mi chiamò e mi disse: “Simò mi sono ammazzato dalle risate, dovresti fa’ l’attore, però da capo ti devo dire che non puoi stare su YouTube e non puoi fare questi video, rappresenti l’azienda e non puoi”. Questo mi ha portato a togliere i video che avevo realizzato dal 2011 al 2016.
Parliamo di Quartieri Criminali, come nasce la serie, il format che più ti ha premiato in questi anni?
Il format Quartieri Criminali è stato il primo che mi ha permesso di uscire dalla cerchia ristretta di quelli appassionati di combattimento e andare su persone più comuni: la casalinga, il bambino, il criminale, il tutore dell’ordine.
È nato per un caso; facevo le biografie dei criminali tipo “banda della Magliana”, criminali italiani - soprattutto romani - e quando li citavo parlavo dei quartieri da cui provenivano. Quando nominavo i quartieri pensavo fosse giusto farli vedere e così con Mattia Faraoni - un fighter professionista - è venuta fuori l’idea di andare a girarli insieme e di parlare con le persone che vivono in quei luoghi. Parlare con tutti, senza pregiudizio e distinzioni, anche con i criminali. Nel primo episodio, quello del Laurentino 38, le persone non volevano parlare, ci siamo dovuti affidare a degli sportivi di lì per farli aprire.
Lo sport è una chiave di lettura importante e aggregante, il pugile è apprezzato e rispettato dalla criminalità, dagli onesti, dalle forze dell’ordine, da tutti. Perché incarna colui che con lo sport ha riscattato la propria vita.
Dopo quel video è cambiato tutto perché non abbiamo preso una posizione, non abbiamo censurato e siamo riusciti a portare delle persone che non volevano esporsi a raccontare delle storie difficili. Non abbiamo dato spazio solo a racconti di malavita ma anche a storie personali come la morte di un padre, la tossicodipendenza, siamo riusciti a mostrare cos’è la povertà. Il risultato è stato quello che molti hanno rivalutato sia le zone che le persone che le abitano.
L’obiettivo è sempre quello di dare una visione reale di cos’è la periferia e raccontarla per renderla meno spaventosa. Alla fine non è detto che chi si è fatto 37 o 40 anni di carcere non possa raccontare qualcosa di utile.
Adesso state un po’ cambiando il format però
Sì, lo stiamo trasformando in “Periferie d’Italia”, sempre di più quando ci chiamano in quartiere chiediamo che non ci siano solo racconti di criminalità, vogliamo raccontare esempi di redenzione e di aiuto concreto, come nel video di Rozzano o quello di Quarto Oggiaro. Sono esempi di realtà che mostrano persone che hanno sbagliato ma che cercano di rendersi utili a quelli che potrebbero fare la loro stessa fine. Immagina un pluripregiudicato che parla con il magistrato e intercede per non farti andare in carcere, ma farti affidare ai servizi socialmente utili in quel quartiere, proprio lì dove hai rubato adesso devi renderti utile e magari raccogliere le foglie o tagliare l’erba. Da un punto di vista sociale l’immagine è forte, ci sono degli ex detenuti che danno una mano a chi rischia una sorte senza speranza e c'è chi ha sbagliato ma non costa alla collettività, perché non va in carcere e vede che un’alternativa alla criminalità esiste.
Bisogna portare i ragazzi ad ascoltarti e io lo faccio anche attirandoli con il racconto della criminalità, ma alla fine quello che esce fuori dai miei video è tutt’altro.
Quando andiamo nelle scuole succede questo, siamo andati al Liceo Giulio Cesare e ci hanno dato l’aula magna, questo fa capire che i ragazzi hanno interessa ad ascoltarci perché non giudichiamo nessuno.
Sei seguito da un pubblico molto giovane infatti, senti il senso di responsabilità da questo punto di vista?
La fama va interpretata, puoi essere famoso perché sei un mostro del web - tutti lo guardano per prenderlo in giro o per fargli fare delle cose che lo rendano ridicolo. Poi ci sono quelli che vengono riconosciuti come un punto di riferimento.
Se [i ragazzi] sentono dire certe cose dai genitori pensi “che palle”, se le dice Cicalone capiscono e mi danno ragione, questo accade perché va trovata una forma e mettersi anche in gioco. Io sono uno che un tempo litigava, ho sempre fatto sport da combattimento, sono un insegnante di pugilato e se vedo una prepotenza è nella mia indole andare lì e difendere, sono nato e cresciuto in quartieri non troppo facili dove bisognava fare a botte per farsi valere. Io questa cosa oggi proprio non la posso e non la voglio fare, se per strada mi trovo a dover discutere evito, perché devo dare il buon esempio e non voglio che escano video di me in cui mi si vede fare cose che io sconsiglio. La responsabilità ce l’ho e fa parte della mia persona non del mio personaggio. Generalmente bisogna cercare di farli coincidere almeno nell’aspetto dei valori perché sennò il tuo personaggio non sarà mai longevo. Ecco perché cerco di fare video e cose che mi piacciono anche nella vita, i miei contenuti nascono per essere utili alla società. Mi ispiro molto a Pasolini i cui film e documentari, a cinquant’anni di distanza, ancora raccontano uno spaccato della società necessario e utile.
Io spero che i miei video fra dieci anni siano ancora utili.
Secondo me è normale che i ragazzi a vent’anni facciano le proprie esperienze, le ho fatte anche io. Credo solo sia necessario raccontare quello che succede quando si fanno determinate scelte, io non giudico mai, racconto solo la realtà.
Ti contrappongono spesso alla figura di Brumotti che racconta il mondo della notte e delle periferie in maniera diversa da come fai tu
Lui fa una narrazione che dice: “Nella periferie si spaccia. Vendono la morte” ed è vero, però non ha fatto un’analisi reale. Per chi non conosce il mondo dello spaccio faccio un piccolo schema:
C’è il capo che non sta in periferia che vive in una villa di lusso e decide quanta droga va e dove va.
C’è una catena infinita di persone che non si vedono.
Poi c’è il pusher, solitamente un tossico o un povero disgraziato intercambiabile in due minuti esatti.
Brumotti si accanisce sull’ultima ruota del carro con un dispiegamento di forze enorme. Non facendo creare altro che un dolore di pancia nella gente, quando il problema purtroppo è più complesso e spesso c’entra anche chi compra.
Il problema andrebbe affrontato all’origine: “Perché ti droghi?”. Io non mi sono mai drogato, ho avuto amici che lo hanno fatto, alcuni sono morti, alcuni ne sono usciti, io non l’ho fatto non perché ero più intelligente di loro ma perché ho avuto dei genitori che mi hanno mostrato la realtà da subito. Mi ricordo che mi dissero: “Vedi quel signore lì, tutto storto, che cammina, quello è un tossicodipendente. Non aspetta altro che farsi una siringa nel braccio, magari usata da un altro - ai tempi si faceva - e passerà tutta la sua giornata così. Quali sono le alternative? Morire o campare così finché riesce”.
Io ho pensato che non volevo fare quella fine.
Ma sai qual è il problema, è l’assenza di conoscenza. Se andiamo in una periferia tu ti rendi conto che spesso non c’è nulla da fare, non ci sono proprio alternative. C’è un bellissimo documentario che si intitola “Ragionamenti Tossici nella Borgata Romanina 1976” dove un tossico negli anni '70 racconta perché si droga. Se lo avessero ascoltato sarebbe tutto più chiaro alle politiche sociali. Lui dice che si fa perché non c’è niente altro da fare, perché è isolato dal mondo e vive fuori dalla società.
Se offrissero delle alternative sono sicuro che le cose sarebbero diverse.
Senti Cicalone, ma ti hanno mai proposto di entrare in politica?
Mi hanno più volte proposto di entrare in politica. Non so perché, ma tutti mi associano all’estrema destra.
E come mai?
Boh sarà il taglio di capelli, sarà perché parlo di sport, non saprei. Anche se io non ho mai espresso una preferenza - sono apolitico, ci tengo a ribadirlo. Mai una volta che è venuto uno di sinistra a confrontarsi - ride, ndr. Tutti di destra.
A me non interessa però, non credo nella politica a livello di posizioni, credo nella politica fatta con un criterio.
La società dovrebbe essere come la natura, dove esiste il micelio, una sorta di rete di tutto ciò che è vegetale e che collega tutto il pianeta. Se una pianta sta male automaticamente stanno male tutti, ecco perché gli alberi e le piante si aiutano a vicenda; nella società ciò non avviene. Se sono ricco e sono circondato da poveri non dovrei stare bene, perché casa mia è bella ma intorno a me c’è il degrado. Non dico che il ricco deve regalare i soldi agli altri, ma se gli altri vivono dignitosamente tutti ne beneficiano. Io per esempio mi occupo di Fabio, Bomba Anarchica, non regalandogli dei soldi ma mettendolo in condizione di guadagnarseli. Questo significa che non dovrò provvedere io a lui, significa che potrà andare in giro tranquillamente e questa cosa si ripercuote su tutti quelli che lo conoscono e lo circondano.
Credo nell’educazione civica più che nella politica.
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