di Chiara Monateri
30.08.2021
Tempo di lettura 12'
Gioele Corradengo ha 25 anni, è di Vigevano e ha origini argentine. Dopo i primi lavori “normali” è diventato Sexsdreams, un artista a tutto tondo che spazia dalla pittura all’art direction.
Dai graffiti in provincia con i ragazzi più grandi è passato a colorare le vetrine di ANTONIA di Milano, a dipingere i piumini di Khrisjoy e collaborare con gli amici VillaBanks e Anna. Sexsdreams si racconta, mischiando arte e musica.
Foto © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Dimmi una cosa che non posso intuire dal tuo profilo Instagram
Suono la chitarra da quando avevo 10 anni, e faccio anche musica.
Anche questa è arte. Che tipo di musica?
È iniziato tutto per caso quando ho conosciuto Rar3, producer italiano che all’estero ha prodotto Kevin Gates, facendo un disco di platino. Io canto in inglese e Rar3 crea dei suoni incredibili; è l’unica persona con la quale musicalmente mi sento in sintonia, perché abbiamo creato un nostro sound. Facciamo qualcosa di molto simile a un rock elettronico, mi piace perché è mischiato alla mia arte: ho fatto alcune tele con le mie frasi dal freestyle. Però, pensandoci, mi capita di più il processo inverso, per cui prendo le frasi dei quadri e le metto nella musica.
Come hai iniziato a dipingere?
Non ho fatto un percorso scolastico artistico, ho terminato i miei studi dopo la terza media. Da ragazzino, quando avevo 11 anni, uscivo con gente che faceva graffiti. Ero molto piccolo e per me disegnare non era semplice: così scrivevo cose enormi, molto minimal, e i ragazzi attorno mi rispettavano per quello che ero. Verso i 14 anni ho cominciato a fare disegno su parete, ma mi è rimasta la “cosa” delle lettere.
Non riuscivo a fare come gli altri, la mia forza erano le frasi.
La tua famiglia ti ha dato supporto in questo percorso?
Mio papà è un pianista e mia madre disegna e canta: sono persone molto cool, e mi hanno sempre lasciato scegliere tutto da solo.
Hai fatto altri lavori prima di diventare Sexsdreams?
Vengo da una famiglia molto umile, e da quando avevo 16 anni ho lavorato molto: in cantiere, poi come barista e metalmeccanico. E ogni giorno che ero a fare questi lavori, pensavo a quanto volessi mollarli e a cosa potessi inventarmi per fare arte, e far sì che diventasse il mio lavoro.
Quand’è che sei riuscito a farti conoscere?
Nel 2018 ho esposto nella prima galleria, The Outartlet Gallery di Vigevano, e nel 2019 ho cominciato ha lavorare anche con il mondo della moda.
È lì che hai capito che l’arte avrebbe potuto essere una carriera vera e propria?
L’ho capito nel momento in cui ho guadagnato la prima cifra grossa. All’inizio vendi a somme basse, diciamo massimo 300 o 400 euro, invece quando vedi che ti apprezzano, è la svolta.
Qual è stata la tua svolta?
Il mio primo grande progetto è stato quello con il brand italiano Khrisjoy, sono usciti fuori dei piumini molto fighi. Nella prima quarantena ho passato un mese in studio, e ho fatto a mano 500 pezzi unici.
A proposito, come hai passato il primo lockdown?
All’inizio della quarantena ero strapreso male e la mia ragazza di quel momento era da un’altra parte: ero così in un mega struggimento amoroso, che al Covid ho iniziato a pensarci solo in un secondo momento.
Come te la sei fatta passare?
Dipingevo tutto il giorno per Khrisjoy e mi è passata. Ho fatto un mese così, l’ho vissuta bene: ho messo in atto questa catena di montaggio arty, e ho anche trovato un assistente su Instagram, un ragazzo che ha studiato a Brera, che è stato super.
Che altro hai fatto?
Ho usato molto anche i social. Fino a un paio d’anni fa li disprezzavo tantissimo: ora ho una prospettiva diversa. La tua fam (cioè la family di amici e quella artistica) può vedere quello che fai e alla fine i social funzionano per quello, sì per l’utilizzo personale ma soprattutto per la condivisione.
Devi stare attento però a non farti divorare, perché sono un’arma a doppio taglio.
Pensi che quando torneremo ad avere più libertà le persone ne saranno meno ossessionate?
Sono sicuro quando tutto questo finirà le cose cambieranno anche per i social. Instagram non sarà più “tutto”: ci sarà molto più live, e la gente utilizzerà i social in maniera più sana, facendo una selezione. Dei social è positivo quando guardi un lifestyle, che ti fa venire voglia di averne uno simile: così è bello, perché sprona anche gli artisti a fare di più e soprattutto meglio.
Come è nato il tuo sodalizio coi brand di moda?
È stato assurdo. Ricordo che circa tre anni fa ho fatto un live painting alla Fabbrica del Vapore, dopo di quello mi ha chiamato Khrisjoy e poi mi hanno contattato da ANTONIA. Per quest’ultimo mi hanno coinvolto per le vetrine, in modo molto easy e diciamo che è successo da un giorno all’altro. Mi hanno chiamato e mi han chiesto se mi andasse di farle, ho detto di sì e la risposta è stata tipo «Vuoi farle tipo stasera o domani?». Il mio intervento è piaciuto e questo di sicuro ha confermato il mio posizionamento con i brand.
Come vedi il rapporto tra brand e artisti contemporanei?
Sono tutti propensi alle collaborazioni, ma spesso capita che gli artisti o non ci provino davvero, o ci provino davvero troppo.
Ad esempio?
Alcuni ci provano nella maniera sbagliata: ovvero vedo che tanti per essere notati spingono così tanto il lato moda che dimenticano di essere artisti, e di offrire quello che sanno fare. Chi fa moda fa una ricerca particolare, che va al di fuori del mondo fashion: quindi è vitale mantenere la propria identità di artista e la propria vision, perché è quello che piace.
Cosa mi racconti delle collaborazioni con altri artisti?
Ho un rapporto strano con le collaborazioni, le vedo come se fossero un feat musicale. E infatti ho fatto una collezione con VillaBanks: abbiam fatto una collab di tele dipinte, sempre come amici. Abbiamo creato 16 tele enormi, dipingendo insieme: lui era super nuovo alla cosa, io gli ho dato un po’ di boost a livello di approccio, e lui creando ha trovato il suo stile, che non è una cosa da tutti.
Il futuro dell’arte è fondere i diversi player?
Sai che sta cambiando di brutto, non lo capisco neanche io. Da una parte c’è chi fa gli NFT e li vende a prezzi altissimi, e al tempo stesso c’è un’evoluzione delle tele per quelli come me che lavorano tanto con la moda. Nel mio caso si lavora più di grafica, con un approccio più semplice, più pop.
Il pop deve essere semplice.
Ci sono artisti o brand internazionali con cui sogni di collaborare?
Sia Rita Ora che Steve Aoki hanno indossato le mie collab per Disclaimer sui social e nei video. Già questo è un traguardo. Per quanto riguarda i brand mi piacerebbe collaborare con Dior e Maison Margiela di sicuro. E poi con The Game, rapper storico americano. Mi piacerebbe anche fare qualcosa coi giocatori di basket dell’NBA. Da un punto di vista musicale penso anche a Travis Scott, che lavora molto con grafiche e visual, o con Lil Uzi Vert, Bruno Mars, Pharrell Williams e Childish Gambino, tra i vari.
Della musica italiana che ne pensi?
Non ascolto musica italiana, solo poca roba: qui ci sono tanti artisti a 360 gradi. Oltre a chi ho già citato sono anche vicino ad ANNA: lei è come fosse mia sorella, ora sta facendo uscire l’album nuovo, ed è talentuosissima.
Che tipo di arte ti ispira di più?
Molta musica: AC/DC, Metallica, Tupac e Diddy. Sono un misto tra underground, heavy metal e hip hop, il classico bianco che vuole fare il rap. Poi m’ispirano le loro grafiche: le magliette dei Metallica, di Tupac, i graffiti che vedi nei video musicali, sono tutto un mondo. Poi Basquiat e Warhol perché sono iconici. Se vuoi diventare iconico, ti devi ispirare a persone iconiche e seguire le loro orme.
E quindi da cosa prendi ispirazione?
Non m’ispiro alle cose, diciamo che mi sveglio, vado in studio e ho delle visioni.
Crei di giorno o di notte?
Alle 3 di notte, non so perché, mi vengono cose fighissime. Il numero che vedo sempre in giro è 3.33, oggi l’ho già visto una volta, chi lo sa.
Riesci ad avere una routine o sei più un “artista maledetto”?
È sempre tutto diverso. In generale se dovessi pensare a una “giornata tipo” direi che prima sento mia madre, poi il mio manager, prendo un doppio caffè e capisco cosa fare: molto freestyler, perché sì credo che gli artisti debbano essere liberi. Per questo sono fortunato: certo che devo lavorare, ma non importa l’orario.
Qual è il setting ideale di creazione?
Anche random va bene. Ora sono più da studio, il farlo per esibizione in mezzo alla strada non lo sento.
Parlando di strada, viaggi spesso?
Andrò a Los Angeles a fare una vacanza-lavoro, poi per lo stesso motivo a Londra e in Messico. Ho voglia di viaggiare, serve ed è un buon modo per avere feedback da chiunque, facendosi conoscere senza limiti.
Tu ora vivi a Milano. Hai dei posti del cuore?
Abitavo a Vigevano che è dietro l’angolo, quindi sono cresciuto a Milano: già a 13 anni stavo sempre qui. Le mie zone sono Porta Genova e Navigli, Argelati, Barona, Porta Venezia la sera, club come l’Apollo e il Rocket. Milano è quello, la presa bene del tramonto sui Navigli, ma anche la Fashion Week.
Last but not least, dimmi qualcosa che ti piace e qualcosa che cambieresti
Vorrei smettere di ordinare delivery tutti i giorni e di svegliarmi presto.
Vorrei avere più tempo per mia madre, perché sono sempre impegnato. Poi ho un sacco di amici cool, e questo ci permette di fare dei bei progetti passando del tempo insieme. Mi piace stare a Milano, mi piace creare e sono selvaggio: non voglio nessuno che mi dica cosa devo fare.
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