20.09.2022
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È mattina presto, c’è silenzio nella stanza; si sente appena il tintinnio di forchetta e coltello su un piatto. La giovane strega protagonista di Kiki - Consegne a domicilio diretto da Miyazaki sta per addentare un soffice dorayaki fatto in casa. Questa sorta di pancake è così invitante, e i movimenti in cucina così rilassati, che è un piacere immergersi nella scena dello Studio Ghibli. E che dire della lunga tavola imbandita de La città incantata? In fondo, lo sappiamo, guardare il cibo sullo schermo a volte può essere soddisfacente come mangiarlo nella vita reale. In particolare, sono proprio fan degli anime giapponesi ad andare in estasi per il cibo, e non solo per trame, scene d’azione e colonne sonore. Ma cosa spinge gli Z verso la cucina virtuale, cosa sta trasformando un interesse di nicchia in mainstream? Il bisogno di evasione sensoriale.
Illustrazione di copertina © Davide Bart Salvemini
La fatica dei periodi in lockdown e l’isolamento fisico forzato hanno portato le persone più a contatto con svariate forme di intrattenimento, tra cui quello culinario, che ben risponde alla nostra esigenza di rilassamento e benessere mentale. Più che serie tv e film, sono proprio i prodotti di animazione a esaltare consistenze, colori e impiattamenti, soprattutto agli occhi di adolescenti Z e adulti Y, principali destinatari degli anime. E non è solo una questione visiva. Per molte persone, il piacere viaggia parallelo a quello sonoro che si prova con i contenuti ASMR, così vertiginosamente in tendenza negli ultimi anni. Basti pensare ai video ipnotizzanti che di tanto in tanto fanno capolino sui feed social e nelle pubblicità di app mobile rilassanti, con mani che impastano e spezzettano grandi masse di materia colorata (il più delle volte, colla vinilica Elmer; così popolare che negli Stati Uniti spesso è esaurita).
Gli orgasmi celebrali prodotti degli ASMR sono fondamentali per il fascino del cibo degli anime: i pasti raffigurati nei cartoni animati potrebbero anche non essere del tutto verosimili e commestibili, ma l'accurata rappresentazione uditiva offre agli ascoltatori un consumo soddisfacente. In una scena di Ponyo sulla scogliera, l’omonimo protagonista siede davanti a una ciotolona di ramen istantaneo al prosciutto, quando arriva la mamma a versare acqua bollente, facendo così fuoriuscire parecchio vapore verso l’alto. Ebbene, è proprio l’incontro tra stimolo gustativo e formicolio sonoro a incollare lo spettatore al video. Una prova succulenta del successo: provate a cercare “Ponyo Ramen” su Google, e date un’occhiata ai risultati.
Certo, molto ha a che fare con il “food porn”, termine apparso per la prima volta nel libro del 1984 Female Desire della critica femminista americana Rosalind Coward. Decollato grazie alla piattaforma Flickr che ha lanciato per prima la categoria #foodporn nel 2004, il nome descrive perfettamente lo stimolo godurioso che si ha nel vedere cibo. A distanza di quasi vent’anni, è difficile scorrere un feed social e incappare in una colazione, pranzo, cena o spuntino. In questo contesto, il cibo degli anime è un passo avanti rispetto a quello su Instagram: più della fotografia, l’animazione è in grado di appianare ogni imperfezione, calcando la mano su tutti gli aspetti più eccitanti: lo sfrigolio del guanciale su una padella, la colatura di una fetta di formaggio fuso su un burger, il cucchiaio che entra dentro una crema. Nel 2018 KFC ha sfornato uno spot che ha unito i suoni rilassanti delle gocce di pioggia sulle foglie con lo sfrigolio del pollo fritto. Acquolina in bocca assicurata.
La sottocultura amante del cibo degli anime ha beneficiato di una tendenza correlata: il mukbang, trasmissioni dove ci sono persone che mangiano una gran quantità di cibo, sia in televisione (in Giappone e Stati Uniti, in particolare) che online, ad esempio su Twitch sotto il tag di “social eating”. Secondo uno studio pubblicato sull'International Journal of Mental Health and Addiction, uno dei motivi che ha reso popolare il mukbang è la sua capacità di ridurre la sensazione di solitudine e di isolamento sociale. Nelle culture orientali, in particolare, una nicchia sempre più ampia di giovani guardano video di persone che mangiano mentre loro stessi sono a tavola, trasformando così il video in compagnia reale.
Dagli account Instagram dedicati alle pagine Tumblr colme di GIF di cibo anime, il fenomeno non sta passando inosservato da parte dei brand in cerca di dialogo con la Generazione Z.
La catena di fast food statunitense Taco Bell, ad esempio, ha sposato la cultura pop giapponese debuttando con uno spot pubblicitario nello stile di un anime, dove il gruppetto eroico Fry Force cerca di proteggere il mondo da un mostro che vuole a qualunque costo delle patatine fritte. L’obiettivo è centrato, il riposizionamento del brand in modo più giocoso è certo. C’è chi poi decide di fare leva sull’animazione più classica per veicolare valori profondi e inclusivi, senza rendere pesante il messaggio. È il caso della pubblicità natalizia dello scorso anno firmata da Disney "The Stepdad": sebbene non sia un anime, il cartone ha dimostrato tutta la potenza del linguaggio 2D.
Anche YouTube è testimone delle forti influenze che gli anime hanno sulle fasce più giovani. Le celebrità virtuali giapponesi, meglio conosciute come VTubers, hanno registrato un'impennata di popolarità durante i due anni di pandemia. Tra i più famosi c’è Kizuna AI, chiamata anche “AI-chan” dalle sue follower più accanite, una seducente avatar animata con un sintetizzatore vocale pionieristico con più di tre milioni di abbonati. Oltre a pubblicare video musicali e gironzolare per il web, la ragazza ha collaborato con Valentino per la sua collezione primavera-estate 2021. Se da un lato la tecnologia va nella direzione del Metaverso, i fandom virtuali sono destinati a essere habitat ideali per una moltitudine di persone, abbracciando sia generazioni giovani che più adulte.
Il tema della intergenerazionale è fondamentale rispetto a ciò che fa parte del retaggio infantile. Facciamo un esempio di trend recente. Dallo schermo al reale il passo è breve, e ancora più breve lo è dai cartoni animati agli animali di pezza. Pensate che i peluche siano affari solo dei bambini? Non per il caso dei Moon Pals, pupazzi extraterrestri dalle proprietà calmanti e confortanti simili a coniglietti con grandi occhi languidi. Hanno preso d’assalto la Rete, conquistando tutti, dai boomer su Facebook agli Z su TikTok, disposti a pagare poco più di 100 dollari per due chili di creatura da abbracciare.
I personaggi immaginari, e più in generale le produzioni animate, in questi ultimi anni hanno trovato terreno fertile soprattutto grazie alle piattaforme di streaming e al binge-watching sdoganato dai Millennial per scappare dallo stress. Già nel 2017, una stima di Research & Markets proeittava il mercato dello streaming per l'animazione sui 3,4 miliardi di dollari, in crescita con un tasso annuo dell'8%. Stiamo vivendo una nuova età dell’oro dei cartoni per grandi, complice anche il formato: la maggior parte dei cartoni animati per adulti ha episodi che durano meno di mezz'ora, il che li rende facili da digerire anche tutti in una volta sola. Il segreto della fascinazione è dovuto al fatto che consente alle persone di lottare con il lato oscuro del mondo senza le lacrime, il sudore e il sangue dell'azione dal vivo. Forse sarebbe più corretto parlare di “care-toon”, di uno strumento di narrazione terapeutica per gli adulti per affrontare argomenti difficili in modi non convenzionali.
I mondi con personaggi in carne e ossa e le azioni dal vivo sono in qualche misura limitati dai parametri della logica: l'animazione ha più margine di manovra per manifestare emozioni difficili da rappresentare.
La serie animata Netflix Big Mouth ha come protagonisti Nick e Andrew che, insieme ai loro amici, sono alle prese con la pubertà e i mostri degli ormoni. Si toccano i temi di vergogna e depressione senza tanti fronzoli, e si mostrano corpi nudi, senza censure. La serie intercetta le tendenze nostalgiche dei Millennial, per tempi che hanno vissuto come l’adolescenza, o che non hanno vissuto affatto (in questo caso, si usa il neologismo “fauxstalgia”). Una nostalgia, quella della Generazione Y, che diventa via via sempre più potente quando diventano genitori e cercano di rivivere la propria infanzia e giovinezza attraverso i figli, finendo a rispolverare i cartoni animati tanto amati, dai classici Disney alla famiglia Simpson.
Ad essere di conforto alle pressioni post-pandemiche e alla nostalgia, concorrono anche snack, cioccolato e caramelle: un modo semplice, in fondo, per tornare alla sicurezza dell'infanzia durante i periodi più turbolenti. I social lo sanno. L’hashtag #dessertdips su TikTok, ad esempio, racconta chi reinventa golosità nostalgiche come i biscotti Oreo e gli s'more americani, in formato dip, da intingere o da trasformare in crema. In Sud Corea, la riedizione del Pokémon Bread ha invaso di meme la Rete e scatenato una frenesia notevole, soprattutto per via degli sticker tra uno snack e l’altro. Lanciato negli anni Novanta e interrotto nel 2006, il pane ha venduto oltre 8,4 milioni di pezzi nel primo mese dopo il suo ritorno sugli scaffali alla fine di febbraio di quest’anno. E con appena cento pacchetti disponibili per l'acquisto ogni giorno, ha avuto inizio una vera e propria sfida virale sui social media, con pezzi rari in vendita online a cifre gonfiate e star come Jin del gruppo BTS che si sono unite alla conversazione.
E sono proprio gli anni Novanta e i primi anni 2000 a tornare alla ribalta.
Casio ha lanciato l’orologio Baby-G a tema Pikachu; ColourPop Cosmetics ha presentato linee di make-up con cartoni animati storici come Sailor Moon, Hello Kitty, Barbie e PowerPuff Girls, da noi in Italia meglio conosciute come le Superchicche. La cosiddetta estetica Y2K, che grossomodo abbraccia il periodo tra il 1997 e il 2004, è riemersa in gran parte grazie agli influencer e agli hashtag di tendenza su TikTok; solo i video contrassegnati con #Y2K sono stati visualizzati oltre quattro miliardi di volte. Capelli arricciati, glitter sul corpo, doppia treccia da bambine, lucidalabbra aromatizzato, ombretto blu, tatuaggi temporanei, clip a farfalla: anche chi non ha vissuto direttamente quegli anni sembra riviverne il mito proprio grazie ai canali digitali, alla ricerca di elementi visivi “retrò” e, in molti casi, vicini alle scelte estetiche dei protagonisti dei cartoni animati.
Nella percezione comune, la fine degli anni Novanta erano un periodo più semplice e con meno preoccupazioni dei due decenni successivi; insomma, guardare a quel periodo è un altro modo di evadere. Nel 2019 su TikTok una sfida virale ha catapultato in quel passato la Generazione Z con la colonna sonora di "Oops!... I Did It Again" di Britney Spears. Senza dubbio, sono anni percepiti più giocosi, frivoli, disimpegnati. Inoltre, se si deve credere alle teorie che i grandi cicli nostalgici avvengono ogni trent’anni, dunque le tendenze riaffiorano circa tre decenni dopo il loro periodo di massimo splendore, ecco che l’Y2K occupa a ben ragione un posto significativo. Ma attenzione, non si tratta di copie esatte degli originali, semmai di interpretazioni adattate alla contemporaneità. Per i capelli bicolore anni 2000, ad esempio, su TikTok oggi si preferisce evitare strisce larghe per le ciocche colorate che incorniciano il viso; per la french manicure, altro caposaldo di quel tempo, ora si usano le punte colorate; per le sopracciglia sottili, si sostituisce allo strappo un correttore o un filtro digitale.
Brand e prodotti culturali hanno ancora una volta un ruolo decisivo sulla diffusione dei trend.
MAC e Givenchy Beauty hanno collaborato rispettivamente con The Sims 4 e Animal Crossing per offrire beauty look iconici per personalizzare i propri avatar. La serie Euphoria ha contribuito a diffondere look sperimentali tra glitter, cristalli e strass. Già nel 2020, la #EuphoriaChallenge aveva visto su TikTok ricreare i look di Donni Davy, la make-up artist di Euphoria, con video correlati che hanno raccolto oltre 57 milioni di view. Piattaforme come Depop e Vinted contribuiscono poi ad alimentare il mercato, permettendo di acquistare abbigliamento originale a prezzi (e valori) sostenibili. A essere di moda, soprattutto i capi sportivi, con marchi storici come Fila, Kappa, Champion e Reebok, resuscitando la prima estetica "urbana" del pubblico che stava incollato a MTV, fomentato da atleti e celebrità.
Il senso di comunità, di appartenere a un’epoca odierna o passata, è in prima linea. Deve averlo capito il portale cult di streetwear Dumbgood, con le sue licenze ufficiali di serie, film, cartoni e videogiochi. Fondata da Amelia Muqbel e Justin Deanda nel 2017, l’azienda marchia i suoi prodotti con simboli familiari della cultura pop, non tanto per conquistare le generazioni X e Y che l’hanno vissuta in prima linea, quanto la Z, così desiderosa di mostrare il proprio senso dell’umorismo. Tra i best seller, il giaccone di pile con zip di Chococat e la felpa con cappuccio di Strawberry Shortcake, meglio conosciuta come Fragolina Dolcecuore, la bambina di Fragolandia e le sue amiche dai nomi stucchevoli, Pandolce, Zenzerella e Arancina.
Nel 2050, torneranno questi anni pandemici.
Ci faremo trovare pronti. E più adulti. Forse.
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