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Cultura

Prendersi tempo

di Valentina Ecca
16.04.2021

Il giornalismo oggi,
la FOMO e l’ansia di non stare sul pezzo.

Tempo di lettura 10'

© cover Molino / VISUM creative / LUZ

“Non ho tempo”, è la frase che la mia famiglia e i miei amici mi sentono ripetere più spesso. È ironico che io abbia scelto come mestiere quello del giornalismo, dove il tempo è colui che dovrebbe guidare l’intera macchina produttiva. La cosa altrettanto interessante è che ne ho usato parecchio prima di scrivere questo pezzo, vi spiego perché.

Proprio come dice Johnny Harris - filmmaker e giornalista di Vox - nel suo video 7 things I’ve learned about journalism in 7 years of being a journalist, è il tempo che gli ha insegnato a scrivere e a trovare le storie giuste che gli hanno spianato la strada verso un giornalismo di qualità.

Secondo un’analisi del Pew Research Center in America 8 persone su 10 si informano attraverso i dispositivi digitali.

Più dell’80% della popolazione statunitense plasma il proprio senso critico e la propria conoscenza attraverso il web.

Prendersi Tempo

© Thomas Meyer / OSTKREUZ / LUZ

Gli italiani non sono da meno, secondo il Reuters Institute il 27% degli italiani accede alle notizie tramite i social media. È una percentuale molto alta, se si pensa che solo il 18% consulta direttamente i siti web delle testate giornalistiche accreditate.

Non devo certo essere io a dirvi quanto questo sia rischioso, vero? Non perché il web sia un agglomerato di fake news e di contenuti non obiettivi: l’obiettività, infatti, nel giornalismo non esiste. Potrà sembrarvi scioccante come affermazione ma è così, Harris lo spiega molto bene: ogni informazione, notizia, storia che leggiamo è veicolata da qualcuno e dietro quella voce c’è una persona con un background, delle idee e una forma mentis ben precisa, ed è giusto che sia così. 

La differenza non sta nel fatto che quel racconto sia, o meno, obiettivo, ma nella profondità con la quale viene raccontato, quanto fact-checking è stato eseguito, quante fonti si sono raccolte, quanto il giornalista o l’autore abbia ragionato e si sia informato su quell’evento che sta raccontando.

L’informazione, dall’avvento del World Wide Web, ha raggiunto dei livelli di diffusione inimmaginabili. Prima del 1991 nessuno di noi avrebbe mai avuto accesso alla mole di notizie che quotidianamente appaiono nelle app "news" dei nostri smartphone, nella home di Instagram e nelle newsletter a cui siamo iscritti. 

Ma quanto di quello che leggiamo è stato effettivamente verificato? È complesso capirlo e non tutti hanno gli strumenti per farlo, ma ecco che il web ci viene in soccorso, esistono decine di profili sui social che fanno fact-checking, decine di autori, filmmaker, giornalisti e creator che si occupano di andare a fondo nelle questioni. 

Una per tutti è la sezione di Fact-Checking di Open dove vengono “smascherate” le bufale più grosse che circolano in rete, la missione del progetto è quella di:
“monitorare le notizie false o fuorvianti diffuse in Italia e all’estero, fornendo un servizio di corretta informazione e degli strumenti necessari ai cittadini per imparare a riconoscere le bufale, la disinformazione, la misinformazione e tutte le altre falsità che minano la società e il processo democratico”.

Torna sempre lui, il tempo. 

Quanto ce ne vuole per verificare le notizie, per cercare i profili giusti da seguire, le newsletter a cui abbonarsi, le testate a cui affidarsi. 

La risposta è solo una: ce ne vuole tanto. Ma siamo sicuri di non averlo? 

Siamo sicuri di non avere tempo da dedicare a ciò che foraggia la nostra conoscenza, che influenza il nostro modo di vivere e che guida le nostre conversazioni?

Ecco, noi di K Magazine lanciamo una sfida ai nostri lettori: PRENDETEVI TEMPO.

Abbiamo deciso di scappare dalla FOMO, la paura di perdersi qualcosa, che da diverso tempo sembra aver investito i magazine online. 
Veniamo invasi costantemente dalla paura di perderci l’ultima notizia, di non stare sul pezzo e di non essere un passo avanti agli altri.

Però abbiamo capito che ci dobbiamo fermare e farci una domanda: ma abbiamo davvero bisogno di stare su quella notizia? Siamo davvero in grado di dargli il giusto peso, di scendere in profondità e di farlo con la qualità che, chi ci segue, merita?
Spesso la risposta è no.

Abbiamo quindi scelto una strada diversa: produrre contenuti che non abbiano tempo, affinché durino nel tempo. 

Non perché l’informazione non abbia bisogno di essere contemporanea e al passo con il mondo che cambia, ma perché c’è bisogno anche di altro. 

C’è bisogno di rallentare, di scambiarsi centinaia di mail per revisionare un video di 40 secondi, c’è bisogno di un canale Slack invaso da punti di vista diversi, cambi di rotta e opinioni differenti, c'è bisogno di passare un sacco di ore in silenzio, a ragionare.

Le cose belle costano e l’unico modo in cui possiamo realizzarle è investendoci tempo.

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