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Cultura

Di strade e loro intersezioni

di Giorgia Feroldi

08.05.2023

Dalla Calabria all’Emilia-Romagna
Rocco Iannone racconta come il mondo
Ferrari entra nei nostri armadi, tra 
l'heritage italiano e i successi americani. 

Tempo di lettura 12'

Scrivere di Ferrari significa tornare al 1947, anno in cui Enzo Ferrari fonda il marchio a Maranello - in Emilia Romagna - per raccontarne i sogni e le speranze, e poi volare nel tempo, arrivare al 2021 quando viene lanciato il progetto moda. A Rocco Iannone spetta l’impresa: trasformare l’infinito patrimonio culturale di Ferrari in altra, nuova cultura, quella che si legge nei tessuti. Quegli stessi tessuti che talvolta ripescano dagli scarti dell’automotive per essere trasformati in nuove opportunità. E se l’auto non è un momento di self-expression puramente maschile, la donna Ferrari incarna la determinazione della quattro ruote. Ci sono le idee che Enzo ha messo nelle sue macchine e le reintepretazioni che Rocco ha portato nei suoi abiti: in dialogo con il designer della Scuderia più famosa al mondo. 

Foto © Eric Scaggiante

Il grande talento consiste nella capacità di osservare il mondo attraverso un personalissimo filtro, che deriva dall'esperienza che ti ha formato. 

Rocco Iannone

Com’è avvenuto l’incontro fra te e Ferrari? Come ti è stato chiesto di costruire questo progetto? 

L’ incontro nasce da un progetto che è stato pensato per espandere l'universo Ferrari verso nuovi spazi in grado di accogliere la forza e il potere di questo marchio così universale e iconico nel mondo. In altre parole, per estendere quella che può essere un'idea di Ferrari Life. La moda è una delle varie potenzialità di declinazione del marchio Ferrari che consente di dialogare con una nuova audience. Persone affascinate dal brand, che vogliono entrare in contatto anche da un punto di vista culturale con il marchio stesso. Sulla base di questo disegno, è stata fatta una selezione di creativi che potessero costruire una progettualità nell'ambito dello stile. 

Come si immagina un progetto di moda a partire dai simboli e dall’iconografia di una casa automobilistica?

Bisogna farlo approcciandosi in maniera contemporanea e moderna al concetto di creatività. Viviamo in un'epoca in cui i brand rappresentano molto più dei loro vestiti e della mission per la quale sono stati fondati. Oggi un marchio diventa sostanzialmente un progetto culturale capace di raccontare una scala di valori, un modus vivendi. Questo permette ai brand che hanno un'influenza nelle nostre vite di espandersi e di presentarsi ai nostri occhi in maniera estremamente estesa e diversificata. Ferrari nasce da un racconto umano, che è il racconto del suo fondatore. Enzo Ferrari, infatti, ha realizzato i suoi sogni attraverso varie forme di espressione, scegliendo l'automotive e tutto quello che essa rappresentava, sia nell'ambito delle corse che nell'ambito dello stile, esprimendo valori che poi è possibile espandere verso altri orizzonti. Quando decidi di portare un brand in territori diversi da quello che l'hanno accolto fino ad oggi, devi farlo rispettando i tuoi valori, che devono essere quindi immediatamente riconoscibili in quello che fai.

Ciò significa che se sei una casa automobilistica e scegli di fare moda, non puoi fingere di fare moda. Devi farlo. Farlo rispettando l'universo del fashion, dello stile, e allo stesso tempo mantenendo la tua identità immediatamente riconoscibile e facilmente identificabile come Ferrari.

Portare questi valori all’interno della linea moda è stato un processo lungo e difficile o, piuttosto, facilitato dagli archivi storici?

Niente è semplice. Ferrari è patrimonio collettivo. Non è semplicemente un brand come un altro, è un marchio nel quale un numero immenso di persone nel mondo si riconosce. Quando si va a toccare un brand collettivo, si rischia sempre di sbagliare: è difficile avere la ricetta giusta o intercettare immediatamente gli interessi del pubblico, e nel momento in cui succede stai comunque disattendendo le aspettative di un'altra parte di pubblico. Siamo parte di un'azienda che ha un patrimonio culturale esteso e un bacino affascinante dal quale attingere. La difficoltà più grande nasce nel momento in cui ti confronti col cliente, col mercato e le tendenze: quando ti confronti con la società.

Come hai tradotto e dove sono visibili i simboli dell’heritage di Ferrari negli abiti di questa nuova Maison? 

Ho cominciato a disegnare questo progetto partendo da zero. Non è come arrivare in una casa di moda storica e partire da linee da reinterpretare all’infinito. Non avendo una silhouette identificata come Ferrari, ho fatto dei test nelle quattro collezioni che ho disegnato fino ad oggi, creando capi che in qualche modo provano a capire i gusti del nostro pubblico in maniera diversificata. Sicuramente ci sono degli elementi di appartenenza al brand che sono imprescindibili, come l'anatomia.

La prima cosa che ho fatto quando sono arrivato in Ferrari è stato parlare con i nostri Car Designer per capire che cosa li ispirasse, cosa concretamente dà origine a quello che è il disegno di uno degli oggetti più iconici del mondo.

Scoprire che, per loro, l'anatomia umana ha un'importanza così strategica all'inizio del disegno, è stato bellissimo. Quando parlano di auto Ferrari, loro parlano di sinuosità, di fianchi, di curve e di muscoli. Il concetto di armonia dell'anatomia umana è perfettamente rapportato al disegno dell’oggetto, così ho cercato sin da subito di incarnare questo messaggio di sensualità, curve e volumi voluttuosi all'interno del progetto. C'è poi un tema legato al colore: Ferrari non è un'azienda black and white, ma un'azienda dove il colore ha un'espressione vitaminica, forte e vigorosa. E infine c'è anche un tema legato a quella che è l'iconografia puramente pop. Mi riferisco alle stampe, visibili soprattutto nella mia prima collezione, dove addentrandomi negli archivi ho scoperto come Ferrari avesse collaborato negli anni con molti illustratori per le cover dei magazine.

Parlando appunto della grandezza che Ferrari ha in Italia così come nel mondo, ti ha mai spaventato?

Spaventato, no. Sono abbastanza “sprovveduto” (ride NdR) da tuffarmi nei progetti con molto entusiasmo quando li ritengo affascinanti. La grandezza del marchio è un tema di cui ho dovuto tener conto sempre di più, stagione dopo stagione. Se nella prima collezione ho lavorato in maniera incontaminata, tirando fuori quella che era una mia personale interpretazione del brand, nel tempo ho imparato ad affinare questo punto di vista seguendo tutti i feedback che ho ricevuto dal mercato, dalle persone, dagli appassionati del brand - sempre attraverso il filtro delle nuove generazioni. Sicuramente non è semplice perché c'è il tifoso che vede il lato Formula 1, quindi la parte più pop, e chi invece è attratto dall'eleganza delle linee e il lusso delle vetture, o ancora chi vede l'italianità più classica. Ci sarà sempre una risposta diversa su come Ferrari viene visto perché è un brand culturalmente espanso: noi abbracciamo il mondo del lusso e quello dello sport, quindi siamo in un'area decisamente vasta.

Entrando anche nello sport, Ferrari entra nelle case di tutti e quindi chiunque può farsi un'idea del brand - non è esattamente una cosa facile da gestire.

 

Mi emoziona veder nascere le cose, vedere un’idea che diventa realtà, forma, colore e superficie. 

Rocco Iannone

 

In passato hai scelto di omaggiare Los Angeles per il ruolo che il cinema ha avuto nel rendere famoso il marchio, ad esempio. Come hai trasportato l’immaginario di Ferrari all’estero, lontano dall’Italia dove il progetto è nato?

Stiamo costruendo questo progetto in maniera estremamente organica. Significa che non apriamo infiniti negozi, così come non produciamo migliaia di capi che poi rimangono in stoccaggio. Vogliamo che cresca in maniera graduale, man mano che il pubblico lo intercetti, lo comprenda e lo sposi. Per questa ragione abbiamo iniziato dai luoghi dove Ferrari una presenza molto importante: l’Italia, e poi degli Stati Uniti, un mercato fondamentale sia per la parte automotive che lifestyle. 

In che modo è cambiato il tuo sguardo su Ferrari da quando hai iniziato a disegnare le collezioni?

Evolvendosi e affinandosi nel tempo, dopo essere entrato più in contatto con chi conosce Ferrari, con le loro aspettative e la loro visione. È uno sguardo che diventa sempre più maturo, focalizzato e consapevole. A un certo punto il mio profilo Instagram esplodeva di persone che mi davano un loro feedback. Mi capita di ricevere anche telefonate da parte di clienti auto che mi dicono come vedono le collezioni - c’è una grande passione e anche un forte senso di appartenenza che contraddistingue i clienti di Ferrari. 

Come hai svolto invece la ricerca dei materiali per le tue collezioni considerando che le auto Ferrari, di materiali hanno scritto la storia?

È stato un tuffo profondo in quello che è il mondo artigianale del brand. Ferrari nell'automotive rappresenta quello che una Maison di Haute Couture rappresenta nella moda: un oggetto sartoriale che viene personalizzato secondo le necessità di ognuno sotto la guida della casa madre - come accade anche nell'Alta Moda.

È un progetto di altissimo spessore dove la ricerca materica, di assemblaggio, di tecniche, è fondamentale. Ho scoperto i materiali dell'automotive per capire in che modo utilizzare letteralmente gli stessi, piuttosto che interpretarli solo dal punto di vista della ricerca. Stiamo portando avanti anche un progetto che si chiama “Second Life”, consiste nel riutilizzare tutti i ritagli di pelle o di altri materiali che avanzano quando confezioniamo le poltrone delle nostre auto, per essere trasformati in oggetti di piccola pelletteria. 

Vorrei soffermarmi sul tema della sostenibilità e sull’utilizzo di materiali riciclati dalla Formula 1, come gli pneumatici di scarto. Come interpreti in Ferrari il concetto di sostenibilità?

Ferrari è una delle aziende più sostenibili al mondo. E voi direte: ma come è possibile? Noi facciamo auto sostenibili nella misura in cui la nostra produzione è infinitamente inferiore a quella che è la domanda del mercato. Per acquistare un'auto Ferrari è necessario entrare in un programma e in una lista d'attesa. È chiaro che nel momento in cui viene deciso che un business abbia questa forma di sviluppo, non si può che essere sostenibili perché non si usano materiali che diventeranno scarto. Pensiamo solo alle nostre auto d'epoca che valgono tanto quanto quelle di oggi, se non molto di più. Sulla parte moda siamo sempre attenti allo sviluppo del business in questa direzione. Non produciamo per un mercato senza sapere che possa già trovare un riscontro, ad esempio.

Tutto quello che vedi ha dei livelli di produzione talmente bassi che per un fornitore viene considerata prototipia.

La tecnologia e la cultura digitale stanno ridefinendo il nostro approccio con il mondo, dalla scienza all'arte, così come la moda. Si parla tanto di metaverso e AI: come impatta l'evoluzione digitale e tecnologica sulla tua produzione? 

È un percorso che integro osservando l'evoluzione del tempo e delle tecnologie, così da capire in che modo le persone intercettano dei trend e li considerano rilevanti. Per esempio – in occasione della seconda sfilata – abbiamo realizzato una campagna proprio con l'intelligenza artificiale. Partendo da alcuni scatti backstage che volevamo valorizzare abbiamo avuto l’occasione di utilizzarli per costruire un video.

Ho letto che preferisci il processo al risultato finale. Come stabilisci il punto d’arrivo di una collezione?
Quando concludo il processo creativo mi assale sempre un senso di tristezza e nostalgia. Mi sembra di aver concluso una scalata, un percorso che mi ha ispirato.

Mi emoziona veder nascere le cose, vedere un’idea che si palesa diventando realtà, forma, colore, superficie. È un processo estremamente affascinante, quindi nel momento in cui termina improvvisamente smette di emozionarti. Il punto conclusivo lo stabiliscono invece le sfilate.

Si dice spesso che il settore automobilistico parli esclusivamente a un mondo maschile, tuttavia preferisco dissentire e vorrei raccontare i motori partendo da altri presupposti; perché credo che dalle rappresentazioni che raccontiamo, disegniamo la realtà che ci circonda. Ricordando quindi le donne che hanno scritto la storia dei motori, come Lella Lombardi e Maria Teresa de Filippis, a chi ti ispiri per raccontare la donna nei tuoi capi?

Intanto appoggio il tuo discorso: dissento anch’io. Il binomio auto-uomo è un qualcosa che appartiene a una forma di preconcetto, per cui la prima missione che mi sono dato è stata quella di portare avanti un dialogo con le donne - di cui l'azienda è estremamente orgogliosa.

Ferrari è la prima azienda in Italia ad aver ricevuto la certificazione di Equal-Salary e stiamo raggiungendo anche l’obiettivo di rendere la presenza femminile in maggioranza rispetto a quella maschile all'interno dell'azienda.

Tornando a quello a cui mi ispiro io, ci sono sicuramente le icone di cui parli, ma anche l’universo di donne-cartoon. Mi viene in mente un personaggio di Hanna-Barbera che si chiamava Penelope Pitstop: una donna che guidava la sua auto e vinceva Gran Premi, ma competendo rigorosamente all'interno di circuiti maschili. Nonostante questo, lei vinceva, e non lo faceva camuffandosi da uomo ma, al contrario, senza rinunciare al suo esser donna. Questa è la chiave di lettura che mi sto dando nell’approcciare la donna Ferrari, ovvero una donna che, pur essendo espressione di un universo puramente maschile, non ha bisogno di camuffarsi da uomo per esprimere la sua femminilità, né tantomeno essere quel classico cliché “donne e motori” come una bambola al servizio del testosterone. La mia visione è di una donna autoconsapevole.

Parlando invece di te, cosa ti ha regalato (o tolto) il luogo dove sei cresciuto?

Renato Guttuso diceva sempre che un artista si esprime al meglio nel momento in cui è in grado di raccontare ciò che ha, ciò che beve, ciò che l'ha generato, ciò che l'ha partorito. E proprio perché tutti noi abbiamo un potenziale, tutti noi possiamo essere potenzialmente degli artisti. Ma la differenza tra una persona comune e il grande talento consiste nella capacità di ascoltarsi e di osservare il mondo attraverso un suo personalissimo filtro, che deriva dall'esperienza che ti ha formato.

Il luogo dal quale vengo mi ha sicuramente dato un filtro attraverso il quale io vedo il mondo, però ovviamente mi ha tolto delle cose. Non è possibile fare il mio lavoro nel luogo da dove vengo: l'arte, la creatività, tende ad aggregarsi nei luoghi dove c'è confronto e dibattito.

Qual è il futuro che immagini per le tue prossime collezioni Ferrari?

Stiamo lavorando sull’identità e l’espressione di Ferrari Life. Vogliamo inquadrare come si esprime e che tipo di valori incarna, per renderla immediatamente intercettabile in ogni forma espressiva. Sembra quasi strano come tipo di percorso, però in realtà ci sono tantissimi brand - alcuni tra i più importanti al mondo - che nascono da un processo di diversificazione: ricordiamoci che Hermès faceva selle per cavalli.

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