di Chiara Monateri
01.04.2021
Tempo di lettura 10'
La vita in una non-comfort zone, per creare sempre qualcosa di nuovo. In solitaria o con Achille Lauro, Boss Doms non ha paura di lanciarsi nel vuoto: anzi, trova se stesso solamente in una dimensione d’azzardo, con la consapevolezza mistica che tutto arriva al momento giusto, per “renderti ciò che sei”.
Dopo l’ultimo singolo Pretty Face in cui ha regalato ai fan un’esperienza multisensoriale poi diventata video del pezzo, e dopo l’ultima tappa ad alto tasso artistico (e di ascolti) a Sanremo con Achille Lauro, abbiamo incontrato Doms, al secolo Edoardo Manozzi, che ci ha raccontato della sua metamorfosi tra lockdown, famiglia e notti in studio.
Foto © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Nel tuo percorso da solista, ma anche con Lauro, è forte il messaggio riguardo al liberarsi dagli stereotipi e dalle sovrastrutture. Ti ricordi un momento particolare in cui sei uscito dalla comfort zone?
Ho sempre avuto un problema, che poi è diventato un vantaggio: ovvero quello di non essermi mai identificato in nessun genere, e di essere sempre uscito dalla comfort zone, senza fare mai due volte la stessa cosa. Questo col tempo mi ha ripagato, facendomi entrare nelle grazie di chi ascoltava.
Nessun attimo rivelatorio?
Non c’è un momento specifico. Mi succede ogni santa volta, di tirare fuori qualcosa di diverso.
All’inizio è stato più complicato: sia da solo, sia con Lauro, non eravamo classificabili in nessun genere, ci è voluto del tempo per convincere il pubblico. Però una volta che siamo stati compresi, siamo diventati qualcosa di unico.
Ora siamo una cifra che puoi ritrovare solo in Achille Lauro o in Boss Doms.
Usi spesso la figura della metamorfosi della farfalla per definirti
È un parallelismo della mia vita degli ultimi anni. La farfalla parte come bruco nero che mangia e basta. Poi si attacca a un ramo, e diventa crisalide: anche se immobile, sta attuando la più grande trasformazione della sua vita, in farfalla. Io sono stato un bruchetto nero che mangiava tanto, guadagnando piano piano in conoscenza ed esperienza. Poi sono arrivati i primi successi con Lauro, ai tempi di Pechino Express: lì il mio look era già molto eccentrico e colorato, ma non ero ancora nella mia forma finale.
Poi è arrivato il momento dell’immobilità
Il periodo crisalide per me è durato un anno, dal primo al secondo Sanremo. Ho dedicato quel periodo alla famiglia: ho avuto mia figlia con Valentina (Pegorer), e c’è stato anche il lockdown, il momento in cui tutto sembrava immobile, lì invece è avvenuta la metamorfosi più importante. È stato un anno in cui sembravo molto fermo, visto anche da fuori. Postavo poco sui social, stavo a casa: ma nel frattempo ho prodotto tutta la musica nuova che sto facendo uscire.
C’è qualcosa ti sei lasciato indietro, in questo processo?
Non c’è qualcosa del mio passato da cui mi sento liberato. Penso che tutto quello che succede arrivi al momento giusto, e tutto fa parte di una “costruzione” di quello che poi tu diventi nella vita.
Non ho rimpianti e non mi sono lasciato dietro niente di pesante, anche perché le cose pesanti sono quelle che t’insegnano di più nella vita.
Sono abituato ad accogliere il male, forse anche con più entusiasmo rispetto al bene.
Si sa che gli artisti, metodici o dannati che siano, hanno vite diverse dalla gente comune. La famiglia ha cambiato il tuo senso di responsabilità?
Intanto, io sono molto più dannato che metodico: sono proprio dannato nella vita. Quindi per uno come me, avere una famiglia è stato ancora più scioccante, perché all’inizio mi dicevo ma come cazzo faccio io, che non riesco a badare manco a me stesso, ad avere una famiglia?
E poi?
Poi invece è scattato qualcosa di sovrumano. Da quando Vale è rimasta incinta, a quando ho visto mia figlia la prima volta e così via, mi sono pure accorto di essere un bravo padre. Nella mia testa c’è stato davvero uno switch. La dannazione e l’irrequietezza, però, restano delle mie qualità. Quando sono con Vale e la bambina mi sforzo di essere più normale, ma alla fine neanche troppo, perché comunque io sono così e il bello è anche questo.
Mio padre era pazzo e sconclusionato, però alla fine ci ha lasciato solo cose belle nella vita. Bisogna sempre accogliere la diversità: a me, a Vale e a Mina piace, essere una famiglia non ordinaria.
Com’è andata quest’anno a Sanremo 2021?
È stata una figata incredibile, come sempre.
Si è sentita la mancanza del pubblico?
Quest’anno è stato molto particolare, perché non essendoci il pubblico, è stata molto un’esibizione da studio. Nonostante questo si sentiva molto la partecipazione della gente da casa, ed eravamo consapevoli di essere davanti a 11 milioni di persone. Detto questo, avere di fronte 500 poltrone vuote fa di sicuro un certo effetto.
Avevi detto che ti era piaciuto il momento sanremese in cui Brian Molko sfasciava la sua chitarra. Cosa vuol dire essere punk a Sanremo?
Per essere punk a Sanremo basta essere se stessi, e già così sei un gran punk, perché comunque ci vanno tutti uguali, impinguinati da capo a piedi.
Il “festival della canzone italiana” non dovrebbe essere una cosa formale, perché la musica è esattamente l’opposto di tutto questo.
Spiega meglio
Non c’è musica che sia “formale”. Anche nella musica classica, ci stanno i peggio pazzi della storia. Quindi non facciamo finta di essere cose che non siamo.
La musica è qualcosa che nasce da terra: dalla pioggia, dal fango e dallo schifo, e non dobbiamo renderla diversa da quello che è.
Per me il gesto di Brian Molko che ha sfasciato la chitarra e mandato a fanculo il mondo è giusto, perché se vai a un concerto non vuoi andare in giacca e cravatta, vuoi saltare e prenderti a spallate con quello accanto.
Cosa ti manca dei live?
Tutto. Il sentimento è quello di fare prepugilistica tutta la vita, senza poter fare un incontro. Poi la musica è anche il momento di quando la crei, non solo i live. Però la condivisione dal vivo con le persone è fondamentale. Quello che mi ferisce è che siamo il settore più colpito in assoluto, e non si stanno cercando soluzioni utili e con distanziamento, come sono state applicate per altri settori.
Anche perché l’intrattenimento è legato all’equilibrio emotivo
Non capisco come si possa non voler supportare un settore che è dedicato al divertimento, alla salute mentale, nonché proprio alla rigenerazione mentale. La pausa da tutto il resto che la musica ti dà, appunto il divertimento, lo stare bene, servono proprio a questo: a farti svegliare la mattina un po’ in hangover, ma con maggiore voglia di tornare a tutto il resto, perché ti sei sfogato. La salute mentale è tanto importante quanto quella fisica, e questo dovrebbe essere chiaro a tutti.
Quali sono le tue ispirazioni al momento?
A livello artistico non ho muse, non m’ispiro a qualcosa. Cerco delle risposte alle domande che mi faccio, e quando le trovo, le metto in quello che vedete. Quando trovo le risposte giuste, cerco il modo per farle arrivare nella maniera più diretta possibile alle persone, con poche spiegazioni. Musicalmente, poi, spazio sempre. Ieri ho fatto ascoltare al mio management le bozze delle canzoni su cui sto lavorando al momento, circa una cinquantina. Tra tutti quei pezzi ho in mano tre, quattro album.
In quanto tempo hai prodotto tutte le tracce?
Poco meno di un anno. Solo durante il primo lockdown iniziato a marzo dell’anno scorso, ho fatto venti pezzi in due mesi. Il ritmo è quello, e c’è veramente di tutto. Il mio management, ascoltandoli, dato che alcuni pezzi hanno dentro anche fino a cinque idee diverse, mi hanno detto, anche meno.
Durante il lockdown hai prodotto tanto, dormendo tipo tre ore a notte
Diciamo che da quando c’è mia figlia è cambiato il mio rapporto con lo studio. Prima ci potevo stare anche trenta ore di fila, ora invece vado e in tre ore devo fare un pezzo, perché ho meno tempo. Ora sono molto più diretto, molto più sul pezzo. Durante il lockdown suonavo tanto di notte perché stando a casa dovevamo stare sempre dietro alla bambina di un anno, non stanno fermi un attimo - ride, ndr. In quelle due ore che lei si faceva un pisolino al pomeriggio buttavo giù un’idea, e poi quando lei andava a dormire la sera, mi mettevo al lavoro. Ora (l’intervista è stata fatta durante l’apertura, ndr) la porto al nido la mattina, così lavoro di giorno, e la notte sto dormendo un po’ di più.
Il progetto legato a Pretty Face e alla tua direzione solista è molto artistico, non solo musicale
Del mio lavoro la musica è uno spicchietto microscopico, rispetto a tutto il lavoro che ci sta dietro. Quindi a volte faccio nottate, ma non è per la musica. Per il video di experience di Pretty Face sono rimasto sveglio 24 ore di fila per chiudere tutto un disegno luci oltre al resto, e lì ero sveglio ad esempio, ma senza far musica.
Sinceramente, mi mancano le nottate e le endurance in studio, quando stavo tre giorni di seguito senza mangiare e dormivo sul divano, facevo schifo e puzzavo: però sono quelle, le cose belle.
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