di Chiara Monateri
11.10.2019
Tempo di lettura 16'
Corrado Grilli, in arte Mecna, da sempre rapper e graphic designer – laureato con lode allo IED – è al suo quinto album in studio.
Neverland, disco prodotto in collaborazione con Sick Luke, nasce dall’incontro tra due generazioni e due approcci diversi, realizzato anche grazie ai featuring di Tedua, Luché, Generic Animal, CoCo, Psicologi, Ainé , Marina e Voodoo Kid.
Lo abbiamo incontrato alla vigilia degli instore e del tour di lancio dell’album. Ci ha raccontato come è stato il viaggio di creazione del suo primo disco collaborativo, di cosa cambia e no con il successo, e di quanto l’amore, al pari della solitudine, siano fondamentali.
Foto © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Com’è iniziata tra te e Sick Luke?
È iniziato tutto con un messaggio su Instagram di reciproci complimenti e poi gli ho buttato lì di fare un pezzo: di solito sotto Natale faccio sempre uscire qualcosa per i miei fan, e lui mi ha detto “Facciamo un’inedito, proviamo a confezionarlo e a buttarlo fuori a Natale”. Così lui si è preso bene, mi ha mandato i primi beat, e quello è stato il nostro primo scambio, anche se non ci eravamo ancora mai visti dal vivo.
In cosa vi assomigliate e in cosa vi compensate
Siamo entrambi artisti che non si vogliono fermare a quello che già sanno fare: cerchiamo sempre di sperimentare e in questo disco lo abbiamo fatto insieme.
Ci compensiamo invece col fatto che io sono più vecchio, e rompo di più le palle.
Hai detto che tu e Sick Luke avete creato un mondo: che effetto ti ha fatto uscire dalla comfort zone?
È stato bello. Da un lato penso di essere uscito dalla mia comfort zone, ma al tempo stesso lui mi è venuto incontro nel mio mondo, quindi ha funzionato come un dare e avere, nel senso che abbiamo cercato di completarci a vicenda. Ad esempio, quando io tendevo a fare delle tracce prese male lui mi diceva “No dai, proviamo a fare quest’altra soluzione”. La stessa dinamica ha funzionato in senso contrario, per il quale anche io gli sono andato incontro: questo ci ha portati a un risultato eterogeneo.
Alla fine è un disco mio, quindi non sarà mai troppo happy, però il processo per realizzarlo è stato davvero bello.
Sick Luke ha detto che gli è stata molto d’aiuto la parte strumentale, curata da Valerio Bulla e Alessandro Cianci
All’inizio questo mix è stato strano, poi si è rivelato perfetto. Quando io e Luke ci siamo incontrati dal vivo, senza che ce lo dicessimo, abbiamo avuto entrambi l’idea di portarci i nostri collaboratori: io sono arrivato con Alessandro, e lui con Valerio. Quindi dal dover essere in due, ci siamo ritrovati in quattro. Questa formazione mi ha aiutato tanto: ero già stato in passato in studio con dei produttori a fare brani da zero, però aver fatto tutto un disco con un solo produttore e un unico team è stato molto diverso, perché tutti eravamo sulla stessa linea in ogni momento, eravamo totalmente sincronizzati: sapevamo cosa avevamo fatto e cosa stavamo andando a fare di volta in volta, e anche cosa avremmo potuto fare di più. Lavorare così ha reso tutto più facile perché c’era un grande scambio di idee: alcune cose fuori posto le abbiamo cestinate nell’immediato, perché già sul partire uno di noi sparava subito un “no” secco.
Magari una cosa sembra funzionare quando sta solo nella tua testa, poi appena la mostri agli altri la capisci meglio
È vero. Fino ad ora avevo fondamentalmente fatto i dischi da solo: la visione generale ce l’avevo solo io, per quanto venissi aiutato da mille produttori. Invece in questo caso eravamo in quattro ad avere la visione generale, quindi nel lavorarci mi sentivo sollevato da vari carichi di responsabilità.
Cosa si impara al quinto album in studio?
Sicuramente ho alleggerito alcune mie paranoie, tipo ho imparato a non affezionarmi troppo ai provini, cosa che comunque tendo sempre a fare…
Sto migliorando alcuni dettagli: se ad esempio mi rendo conto che potrei migliorare una traccia che ho appena registrato in studio, allora magari la rifaccio subito perché so che rimarrà quella. Quindi ho imparato un po’ di accorgimenti tecnici, realizzando però che il mio approccio rimane sempre lo stesso, e questo ogni volta sorprende anche me.
Da Lungomare Paranoia a Neverland hai fatto uscire un album all’anno: scelta programmata o naturale?
Mi è venuto naturale, questo disco è stato inaspettato anche per me. Avevamo fatto il primo pezzo a caso a Natale e in qualche mese poi siamo riusciti a fare un intero album: è stato bello. Tutto questo ha sorpreso anche me, quindi meglio di così non poteva andare.
Sick Luke ha portato nell’album anche dei sound ‘70, ‘80, ‘90… Cosa recupereresti del passato che non c’è più?
Il soul, sempre: infatti abbiamo cercato di portarlo anche in alcuni pezzi del disco.
I campioni della Motown, della musica black da cui è iniziato tutto, per me sono il vangelo.
Cos’è Neverland
È un posto che non c’è, che abbiamo creato io e Luke per l’occasione. È una commistione di idee, generi e approcci alla musica che si sono andati a creare: però in realtà non esistono, in quanto sono musica, che esiste ma non c’è.
La cover è un’immagine di Corey Olsen, in cui si vede un cambio di lente a contatto, che permette di vedere una realtà migliore. Tre cose che ti piacerebbe avere?
Sicuramente la tranquillità di fare quello che mi piace, e poi quella di farlo senza scendere a compromessi… e poi continuare a divertirmi, sempre facendo musica.
In che modo la cover racconta l’album?
È stato strano, questa foto era l’espressione esatta per raccontare quello che avevamo in testa sia io sia Luke, un concept che però non avevamo ancora “visualizzato”: trovarla è stato perfetto.
Sono nati prima i pezzi o sei partito dal concept?
Il concept si può dire sia nato assieme alla creazione del disco, però in realtà per fare un album bello compatto lo abbiamo definito meglio più avanti, in quanto l’idea era appunto quella di fare dei pezzi in cui sia io sia lui potessimo uscire in una maniera diversa ma parallela. Quando poi si è creato il disco e abbiamo visto che era vario come volevamo, abbiamo capito che ok, era una specie di viaggio che poi abbiamo rifinito ad hoc.
Hai accennato alle cose che ti piace fare. Cosa ti piace fare a Milano?
Proprio mentre stavo venendo qui ci pensavo…
Mi piace prendere la metro. E non vorrei rinunciare mai a quello, ad essere una persona normale nella città in cui vivo.
Cosa invece non ti piace?
Non mi piace andare agli eventi: infatti non ci vado più.
I molti featuring dell’album da dove sono partiti?
CoCo è un mio caro amico e si sa, per me lui proprio spacca, sono un suo mega fan e mi ascolto le sue cose: non mi capita spesso con altri artisti. Anche Generic Animal è un amico con cui abbiamo collaborato spesso. Con Luché e Tedua siamo abbastanza amici, soprattutto con Luché, ma finora non eravamo mai riusciti a far niente insieme: sono due artisti che stimo molto e ho sempre voluto fare qualcosa con loro.
E per la traccia di Neverland?
In Neverland ci abbiamo messo un po’ di newcomers che ci piacevano. Abbiamo fatto un po’ un discorso al contrario di quelli che si fanno adesso, dove i dischi sono un po’ delle compilation dove metti mille featuring perché è figo, è la cosa del momento.
Noi invece abbiamo cercato di fare una cosa un po’ diversa cercando di puntare su un’idea che ci piaceva, che è quella di base, di un mondo sconosciuto, e quindi abbiamo messo tanti nuovi artisti che ci piacevano, insieme, per creare qualcosa di unico. Credo infatti che Neverland sia un pezzo abbastanza unico, anche per il suo genere e il suo mood.
Come hanno preso la dimensione di particolare intimità che caratterizza il pezzo?
L’hanno presa bene. Quel pezzo si muove su due fronti, perché a livello sonoro, di mood, è molto spensierata, poi in realtà il testo è quello che va più a fondo. È una dinamica che ultimamente sto cercando di ricreare per alleggerirmi, anche perché a volte so che sono pesante.
Ha un risultato effettivamente inaspettato
È proprio quello che abbiamo cercato di fare, creare delle cose inedite senza strafare.
The Lonely City: Adventures in the Art of Being Alone è un libro in cui Olivia Laing riflette su come diversi artisti hanno rappresentato la solitudine nelle città… anche Neverland sembra attraversato da questo sentimento
L’elogio alla solitudine lo faccio spesso, ci ho fatto pace e mi piace veramente.
Non c’è niente di sbagliato a stare bene da soli, perché no, penso che tutti prima o poi abbiamo voglia di goderci dei momenti di solitudine. Inoltre, credo di avere accanto a me molte più persone che effettivamente si avvicinano a questo mood.
Dover cercare la solitudine spesso è una condizione di chi crea. Magari in alcuni periodi sei felice ma lo spazio di solitudine si annulla, mentre quando ti ritrovi da solo riesci a fare spazio
È vero, anche se io ultimamente cerco momenti di solitudine in cui non devo neanche creare. Mi piace comunque stare da solo nella vita di tutti i giorni: prendere la metro, guardare un film… cose così.
In Canzone in lacrime dici “Non fare un disco se non stai soffrendo”
È sempre un po’ così, soprattutto per quanto riguarda me. Non riesco tanto a creare se sono preso bene o se sto super ok… vabbè che forse non sto mai super ok.
A proposito, l’amore è sempre nei tuoi testi. Attingi sempre da storie che stai vivendo o prendi anche dal tuo passato?
Dipende. Molte cose le scrivo mentre succedono, però tante altre, avendole vissute, le vado a ripescare e a scrivere, quindi faccio entrambe le cose.
Descrivi l’amore nel 2019
Secondo me non è così tragica la situazione. Con i social potrebbe sembrare tutto più “facile” e superficiale.
In realtà credo che l’unica cosa che le persone sanno ancora fare è amare, quindi per me nel 2019 l’amore è ancora una cosa che esiste e resiste.
In Si baciano tutti dici “Si mandano tutti i cuori e poi affanculo nelle stories”
Certe persone tendono ad esasperare le situazioni sui social, ma non credo che i sentimenti siano più superficiali… Semplicemente questo comportamento è figlio un po’ dell’hype, nel senso che ormai c’è gente che ci è nata, per l’epoca in cui viviamo, con questo bisogno di dover condividere.
…invece?
Invece è bello scoprire qualcuno che dice “cazzo a me non frega niente di queste cose, io vivo la mia vita e non posto nulla”: io mi innamoro più di una persona del genere che di qualcuno che si fa mille stories e che deve spiattellare la propria relazione in giro. Per quanto non ci sia nulla di male, si può anche evitare. Questo vale soprattutto per chi fa musica: io preferisco raccontartela, quella storia che sto vivendo, invece che fartela vedere. So che furbamente potrebbe attrarre pubblico il mettere in piazza una mia relazione, ma non è il tipo di attenzione che voglio.
Se sei un’artista tutta l’attenzione potrebbe riversarsi solo sulla tua storia
Esatto: dovresti invece cercare di essere riconosciuto perché fai musica, se è quello che fai.
Sempre in Canzone in lacrime dici anche “Non voglio il successo che hanno tutti adesso”
Parlo di un successo di superficie: quello per cui ti va bene un pezzo, o fai due featuring azzeccati, o fai la storia d’amore con una tipa su Instagram e sembra che spacchi tutto. Invece io punto ad un successo più radicato nelle persone. Se dovessi averlo vorrei che fosse per un reale interesse nella musica e nel mio percorso, non una cosa “indovinata”.
Pensi di avere successo?
No, non credo. Cioè, ho il mio successo, ma uno ne vorrebbe sempre di più ovviamente.
Cos’è quel più per te?
Arrivare a più persone, però in modo sincero, quindi è difficile.
Adesso il successo sembra anche una cosa che si autodichiara di avere
Non è roba per me. C’è comunque una storia e un passato e c’è un percorso che mi ha portato qui, e vorrei che non passasse inosservato a chi mi segue.
In :-( dici che ti stanca pensare al successo. A proposito, tu questo pezzo come lo chiami, “Emoji triste”?
Io lo chiamo “Smile triste”, ma puoi chiamarlo come vuoi. Sì, mi stressa: non ci voglio pensare al successo, sto bene così, perché le mie giornate scorrono bene tra il lavoro, la musica, gli amici, l’amore… poi c’è sempre un’inquietudine di fondo che mi spinge a fare musica, ma quella varia a seconda dei periodi.
Cosa è vero e cosa è falso del successo?
Ho conosciuto persone più o meno popolari di me approcciarsi alla vita pubblica in una maniera diversa dalla mia, e questo ha creato il loro successo.
Spero di sfatare questo mito continuando a vivere la mia vita normale: mi piace proprio la mia tranquillità.
Mi piace viaggiare in treno, se mi metto a immaginare di avere un jet privato, beh, anche se potessi permettermelo non lo vorrei mai. A parte che odio volare, però poi il treno, la metro, sono dei posti a cui non voglio rinunciare: fanno parte del mio modo di vivere le giornate. È vero che volendo poi arrivano cose come soldi e tipe, se ci tieni, ma non è quello che cerco io.
Quello che ho io è la voglia di costruire qualcosa, al di là di tutto.
In Non dormo mai dici “Nell’essere diverso da tutti ci ho quasi creduto davvero”: in cosa ti ritieni diverso?
Penso di essere diverso nella cura e nell’approccio a quello che faccio, dalla musica alla grafica: cerco di metterci me stesso. Semplicemente ho sempre fatto le cose alla mia maniera, e questo mi è stato spesso detto, e quindi di essere diverso quasi ci credo.
I social ti influenzano?
Non mi lascio influenzare, ma sono un termometro veritiero di quello che fai. Anni fa, quando Instagram è entrato a gamba tesa nella vita di tutti, cercavo di fare lo schivo. Poi ho capito che non c’è nulla di male, basta trovare un modo giusto e tuo per usare i social e quindi ci ho fatto pace. Quando ho qualcosa da comunicare mi faccio sentire, quando invece sto per i cavoli miei che faccio musica e non sono neanche in tour magari non pubblico niente, anche per uno o due mesi.
Di quello che hai fatto finora c’è qualcosa che cambieresti?
No, non credo. Non rimpiango nulla. Banale ma vero.
Nell’album si parla anche di diventare adulti e di crescere
Ogni disco significa buttare fuori delle cose, quindi conoscersi un po’ di più. Poi ti devi mettere in gioco, che non è da tutti, e questo ti provoca una crescita a livello artistico. Magari non mi sento “cresciuto”, ma so di aver fatto uno step in più.
C’è qualcosa che è cambiato col tempo?
Ho imparato a non perdere tempo… Sono sempre stato uno molto puntiglioso, paranoico: con questo progetto però ho cercato, nel breve tempo in cui l’abbiamo fatto, di cercare di lasciarmi andare un po’ di più e di assecondare quelli che erano i miei istinti e i miei pensieri di getto, anche nella scrittura e nel fare musica, infatti sto già scrivendo delle cose nuove.
Ormai non aspetto più, sono solo per il fare.
Questa cosa non so se è un crescere o un tornare indietro, ma se questo progetto mi ha insegnato qualcosa è di lasciare andare di più le cose, perché alla fine torna tutto, e anche le cose che mi piacciono di più di me, come la musica e le grafiche, sono quelle che mi escono più di getto: quindi perché non assecondare questa preferenza, ed essere un po’ più easy.
Oltre alla musica continui a fare il graphic designer?
Sì, infatti tra un po’ devo andare a lavorare, da domani mi sa che mi porto dietro il computer sennò non riesco a finire un po’ di cose.
Il lavoro va molto a momenti, ora che ho la parte musicale più accentuata devo ritagliarmi un po’ più di tempo… Poi ovviamente non riesci mai a programmare e le cose coincidono sempre, quindi sono incasinatissimo da entrambi i lati, ma è anche il bello di fare più lavori. Mi piace avere mille cose da fare, stare sempre incasinato: mi aiuta a essere on point.
Dal 7 Novembre partono le nuove date del tour. Ero ad un tuo concerto e i tuoi fan sanno davvero tutte le canzoni a memoria, è incredibile
È una figata. All’inizio della mia carriera, non so perché, non amavo fare i live, poi in realtà più andavo in giro, più vedevo la gente presa bene, più il live per me è diventato il vero termometro per capire cosa pensa la gente di quello che fai.
Sei lì per essere parte di tutto questo: per ascoltare quello che ti dice chi ti viene a vedere e per fare la tua musica: per questo sono convinto che suonare nei club sia la dimensione migliore sia per me sia per il mio pubblico, perché si crea proprio una cosa speciale.
Veder crescere il pubblico e sentirli cantare i pezzi dall’inizio alla fine, anche quelli più “nascosti” nei dischi, è bello davvero.
Per ora hai tre date del tour e tre instore. Aggiungerai?
Per ora abbiamo queste in programma, Napoli è già soldout, faremo tutti i pezzi dal vivo con Luke. Poi magari da Gennaio penseremo ad altre date, ma stiamo ancora capendo.
Pensi mai agli stadi?
Non so, sarebbe figo, ma forse sono troppo grandi… Piuttosto facciamo 10 date da club.
Ti è mai capitato qualche episodio strano coi fan?
No, la cosa più strana è quando mi capita di incontrarli per caso all’estero, tipo per strada a New York, e vengono a salutarmi. Sono molto tranquillo a riguardo, chi mi ferma di solito è molto gentile e sono anche tutte persone che mi seguono e sanno che non amo farmi foto, e che spesso mi imbarazzo.
Sanremo?
Magari anni fa ti avrei risposto “no zero”, ma ora sto rivedendo le cose: lo guardo, incuriosito, perché tutto questo fermento musicale ha fatto sfociare qualcosa di nuovo anche in tv.
Meglio il Sanremo di adesso con pezzi che hanno veramente successo che il Sanremo di anni fa con cose che esistevano solo dentro Sanremo.
Adesso quindi sei già a lavoro sul nuovo album?
Sì, sto già scrivendo: dato che sono sempre stato abbastanza lento, non voglio perdere tempo… se mi viene in mente qualcosa lo metto giù, e mi sento già a lavoro.
Hai mai pensato a un libro?
Se facessi un libro, vorrei essere io a inventare qualcosa, a raccontare una storia: non vorrei farlo come un’autobiografia, perché già racconto cose di me con la musica. Farei qualcosa di diverso.
Se qualcuno dovesse mettere in una capsula del tempo chi sei come artista e mandarla in un posto come Neverland, come ti piacerebbe essere immaginato?
Come un ragazzo normale, che è riuscito a fare di questa normalità qualcosa di diverso, di speciale, di indimenticabile per alcune persone, magari.
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