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Musica

Inoki: è sempre guerra

di Claudio Biazzetti

13.01.2022

Inoki racconta l'album Nuovo Medioego:
il concetto di realness, le nuove sfide
del rap, la marijuana, la politica e
la libertà d'espressione in Italia

Tempo di lettura 9'

C’è questo meme che ultimamente gira parecchio nei vari feed dei social: consiste in due lupi, uno bianco e uno nero, che in qualche modo sarebbero le due anime contrastanti in tutti noi, con tutto il bagaglio cringe che si può portare dietro la cosa. Inoki in questo senso non fa eccezione. Solo che nel suo caso uno dei lupi ha letteralmente sbranato l’altro. A prevalere nella lotta è stata la parte più pragmatica di Fabiano, senza però rinunciare del tutto alla realness che è sempre stata un po’ la sua battaglia. È un nuovo Inoki, consapevole che col rap oggi ci puoi fare un gruzzolo ma che comunque mette sempre in primo piano una musica fatta per restare. Un messaggio.

In parte, questa evoluzione personale e artistica del rapper va ricercata anche nelle sue ultime vicende di vita. Prima un album, Medioego, nato apposta per uscire da una crisi spirituale personale (ma anche globale) da cui sperava di guarire. Poi una separazione tormentatissima dalla compagna, che l’ha spinto a ritornare sui suoi passi, rimettersi a scrivere e dare al tutto la forma di un repack dal titolo Nuovo Medioego. «Speravo che tutto andasse bene. Sai, rose e fiori, violini. E invece no. È sempre guerra» mi confida seduto in una palestra di boxe di Milano, un po’ compiaciuto dalla nottata brava appena passata.

intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego

Il rap nasce così e morirà così, per quanto se lo vogliano comprare, non ce la faranno mai.

Inoki

Sei un tipo da palestra tu?
Vorrei tornarci tantissimo. Mi sono rotto la gamba un mese fa e in teoria dovrei aspettare un po’ prima di tornare. Non sono mai stato uno da palestra, ma lo sono diventato per esigenze mie, fisiche. Faccio sia body building che boxe. Ma boxe a livello di allenamento. Non di certo agonistico. Prima di rompermi la gamba ci andavo tutti i giorni a fare pesi.

Giusto: com’era successo l’incidente alla gamba?
Eh, diciamo che ho fatto dei movimenti sbagliati. Ho fatto il tour estivo in sedia a rotelle, poi di recente ho tolto anche le stampelle. Il pubblico comunque era gasato nel tour. Avranno detto tutti: “Guardalo, ‘sto pazzo. È tornato dopo anni, ha fatto il disco, si è rotto la gamba e ora fa il tour in sedia a rotelle. Rappa come un drago nonostante non riesca a camminare”. Il pubblico ha recepito il mio sforzo, il mio entusiasmo.

Eppure non è neanche la cosa peggiore che ti è capitata quest’anno. Cos’è successo dopo l’uscita di Medioego a gennaio?
Dopo la release mi sono separato in malo modo con la madre di mia figlia. Nel modo peggiore possibile: si è messa con un mio amico. Quindi, doppio tradimento. Ho sfogato tutto nello sport, nella musica. Ho voluto fare il repack per questo: c’era ancora un po’ di rabbia da sfogare.

Credevi che dopo il Medioego ci fosse un Rinascimento?
Speravo che tutto andasse bene. Sai, rose e fiori, violini. E invece no. È sempre guerra. Il repack mi ha aiutato a tirare fuori rabbia ed energie negative. Sono tornato a Milano con la voglia di dedicarmi completamente al lavoro. Come direbbe la Dark Polo Gang, penso solo ai soldi [ride, NdR]. Nel senso, mi è andata male con la famiglia, ora mi impegno su quello. Cosa che non ho mai fatto prima: non me n’è mai fregato niente dei soldi.

Ho sempre fatto l’arte per l’amore, per esigenze di ideali e sociali. Adesso, perché no? Anche per dare una svolta alla mia vita.

Ma possono convivere le due cose?
Secondo me, sì. A una certa età, sì. Quando hai un certo punto di consapevolezza, sì. Per me è sempre stata una missione la realness. Ora però mi rendo conto che può diventare una professione. Con la consapevolezza di un uomo di 40 anni che fa hip hop da quando ne ha 13 e lo vive al 100%.

Non ti sei manco sentito tradire il tuo passato, ora che comunque pubblichi per una major?
No, perché alla fine viene prima Asian Fake, che è una realtà indipendente. In un 2021 in cui i ragazzini di 18 anni iniziano a fare rap soltanto per fare i soldi, se arriva un Inoki che l’ha fatto per 25 solo per amore, ci sta che uno lo faccia un attimo strutturato. Anzi, così facendo ho conosciuto tutto un mondo che anni fa ho conosciuto nel modo sbagliato. Invece oggi, con la testa da adulto, me la vivo in un altro modo. E comunque Asian Fake mi dà una struttura che non riuscirei mai ad avere da solo. Lavoriamo non in modalità multinazionale, ma in modalità artigianale.

Come mai ti eri approcciato al mondo major nel modo sbagliato?
Io sono entrato in major nel 2006/7. Lì il rap era ancora agli inizi e nessuno ne capiva niente. Parlavamo due lingue diverse. Adesso io parlo la stessa lingua sia con Asian Fake che con Sony. Dopo tutti questi anni le etichette conoscono il nostro mondo. Prima no.

Però, tra il disco e il repack, hai avuto anche modo di interfacciarti anche con la “nuova scuola”, con i ragazzini.
Assolutamente. Cerco di ascoltare tutto. Mentre prima ero ostile a ogni cosa venisse dall’industria. Adesso cerco di ascoltare tutto, recepire e cercare di interagirci a modo mio. Questo è quello che avrei sempre voluto fare. Però avevo bisogno del mio percorso nell’underground per arrivare a questo punto. Ero un po’ troppo integralista. A un certo punto mi sono detto: “Anche meno”.

Esiste comunque un certo tipo di nuova musica, completamente svuotata di senso, di cui rimani però nemico.
Frate, io non riesco a essere superficiale. Non lo sono. Poi, la speranza che la musica si riprenda è sempre l’ultima a morire.

Nel mondo ci sono cose molto più gravi del rap che diventa commerciale.

Conviviamoci serenamente, cerchiamo di mandare un messaggio positivo, utile e magari anche sociale, quando riusciamo. Il rap nasce così e morirà così, per quanto se lo vogliano comprare, non ce la faranno mai.

Che poi un determinato tipo di rap torna sempre, tipo il boom bap anni ‘90.
Sì, ma non è tanto il sound, quanto il messaggio. C’è da dire che anche questo sound in particolare ora i ragazzini lo vogliono, di base perché non lo conoscono. Dopodiché, le crisi nascono per essere superate e i problemi per essere risolti. Io in questo momento sento un sacco di energie positive, di gente che ha voglia di fare cose e di risorgere. È il momento, anche per l’hip hop.

intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego
intervista a Inoki, Fabiano Ballarin, foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine – Nuovo Medioego

Intervista a Inoki (Fabiano Ballarin) foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ per K Magazine

Anziché flexare le posizioni in classifica, mi piace quando flexano degli ideali, delle cose che rimangano. Anche perché la classifica cambia.

Inoki

Problema del Medioego è che comunque è difficile sbarazzarsi dell’ego.
Il rap è ego, fra’. Il rapper comunque esprime il suo ego. Per quanto puoi fare il salvatore della Patria sei comunque tu che ci metti la tua faccia e racconti la tua vita. Il trick del Medioego nasce dal fatto che abitavo giù in Puglia, in questa specie di eremo. Vivevo senza niente, spaccando la legna ma alternando il tutto a questo Medioego smart milanese in cui tutti erano incollati al telefono. È questo che mi ha fatto scrivere l’album. Io sento il Medioego globale, non soltanto nella mia vita. Poi è arrivato il Covid e mi ha dato ragione.

E come si esce dal Medioego musicale?
Io ci provo sempre a dare un senso alle canzoni, a provare a mandare un messaggio, a cercare di dire qualcosa di profondo. Se sia giusto o sbagliato non lo so, basta che sia ben radicato nella strada, che non sia una cagata che domani te la dimentichi. Io uso le parole, non faccio grandi melodie.

Con la musica ho un rapporto particolare: per me la musica è boxe, il rap è tirare pugni. Non è assaggiare il sacco, non gli faccio le carezze.

Non so se sarà sempre così: lo scopriremo solo vivendo, per citare il vecchio Battisti.

Anche tutto il meccanismo delle certificazioni FIMI non è un po’ alienante per l’artista?
Io queste cose non le guardo, frate. Oggi le ho viste perché pubblicavano tutti su Spotify "le cose dell'anno". Queste sono cose che interessano soprattutto l’etichetta. Spero di non deluderla, ma queste cose non le ho mai guardate. Se viene tanta gente ai miei live, quello lo percepisco, quello mi interessa. Anziché flexare le posizioni in classifica, mi piace quando flexano degli ideali, delle cose che rimangano. Anche perché la classifica cambia. Se tu nella canzone mi racconti che sei primo, bella. Probabilmente un mese dopo non lo sarai.

Quali benefici ti hanno portato questi nuovi featuring del repack?
C’è da dire che questa gente che comunque vince il pallone d’oro, è fortissima in studio. Perché nel momento in cui cominci a vincere lo scudetto, primo in classifica, vinci la Champions, hai i mezzi che ti permettono di crescere. Hai tanti stimoli, è bello lavorare con questa gente. Con Tedua mi sono trovato a lavorare nell’astronave di studio che ha Chris Nolan. Con Salmo stesso, che ti manda dei sound incredibili. Se questa cosa serve a crescere musicalmente, ben venga. Gli stimoli sono tanti. Anche con Samuel c’è stima reciproca da anni e anni, dal Medioevo.

La realness può esistere ancora in questo nuovo Inoki più pragmatico?
Certo, non me puoi staccare di dosso. È impossibile. Può arrivare la Coca-Cola, la Nike, chiunque, ma sempre io sono. Ormai ho una consapevolezza che non mi posso più togliere. Non sono il tipo di artista che viene trasformato. Io semplicemente mi evolvo. E sono anche molto fortunato, perché faccio quello che mi piace. Non ho mai dovuto alzare un sacco di mattoni, per fortuna.

Ci pensi mai a mollare la musica?
Sì, ci penso sempre. Ma non ci sono mai riuscito. Negli anni sono sempre successe delle cose che mi hanno puntualmente detto: “Non ti conviene mollare”. Anche a livello economico, persino nell’underground guadagnavo di più che andare a fare l’operaio, il muratore o quello che la vita avrebbe voluto per qualcuno come me. Cioè qualcuno che non ha studiato perché non aveva i mezzi da ragazzino. La musica mi ha sempre tenuto lì, finché non è arrivato il momento di fare il salto.

Quali erano i piani B e C al posto della musica?
Il 60% delle cose non te le posso dire. Il 40% magari robe tipo lavorare con la marijuana in Spagna, in California, oppure provare a buttarmi negli eventi. O sennò continuare a fare l’operaio. Io prima di fare musica facevo quello.

Legalizzeranno mai secondo te l’erba in Italia?
Dovranno per forza. È un percorso obbligatorio che sta interessando tutti i Paesi civilizzati del mondo. In Olanda è legale, in Spagna è legale, in molti stati degli USA è legale, in Canada è legale. Prima o poi arriverà anche qui. Io non fumo manco più le canne, prima sì. Mi piace proprio la pianta, sono appassionato della pianta della Cannabis. La legalizzazione è questione di tempo. Non metto in dubbio che ci sono dei poteri forti che la stiano ostacolando. Ma quando in Europa sarà legale quasi dappertutto, non saremmo furbi a non legalizzarla. Una città come Roma potrebbe rinascere.

La questione politica nelle canzoni come la vedi?
A me la politica piace. I miei genitori mi hanno educato ad appassionarmi di politica fin da piccolo. Credo ci sia molta corruzione, ma oltre un certo livello non voglio andare.

A me interessa la politica di strada. Mi interessa la giustizia sul lavoro, mi interessano quelle cose di tutti i giorni che sono la vera politica. Essere civili, educati col prossimo. Evitare il razzismo nella vita vera. Queste cose mi interessano.

Ed è possibile educare attraverso le canzoni?
Bisogna farlo, è un obbligo. Ho sempre sentito questa responsabilità. Quando da ragazzini abbiamo iniziato a rappare con Joe Cassano, non potevamo parlare di cocaina. Dovevamo sempre mettere una morale. Ai rapper oggi questa cosa è un po’ sfuggita di mano. Quando abbiamo iniziato a rappare noi, se non avevi un messaggio non potevi proprio rappare. Ti tiravano i pomodori in faccia, ti facevano scendere dal palco. Se dicevi una roba sbagliata sulle donne, arrivavano le femministe e ti picchiavano. È bella la libertà d’espressione che c’è oggi. Però un po’ di coscienza non farebbe male. Perché un minimo di responsabilità ce l’hai, specialmente sui ragazzi piccoli delle medie. Poi ognuno ha la sua coscienza, sei tu che devi dormire bene con le azioni che fai.

Se il ragazzino si droga non è colpa del rapper. Però se il rapper gli manda un messaggio utile, magari una mano la dà ai genitori.

Nel tuo caso? È possibile conciliare il mestiere di rapper e di padre?
Per forza. Ma attualmente i miei problemi sono ben altri. Fortuna che sto lavorando a nuove robe. Sono molto gasato. Ho voglia di mangiarmi il mondo dalle scarpe alla testa.

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