13.05.2022
Immagina di entrare nell'ascensore di un caveau di un'ex banca a Milano. Immagina poi di ritrovarti in una stanza piena di vinili autografati, neon, console da collezione e poltroncine di design.
Tutto molto surreale: è il quartier generale di Asian Fake.
Qualche giorno fa abbiamo chiacchierato con le promesse Gen Z di Asian Fake. Memento, Guido Cagiva, Deriansky e ALDA hanno quattro personalità molto diverse fra loro, ma con un bel po' di punti di vista in comune. Abbiamo parlato dei loro ultimi progetti, di fluidità generazionale, dell'attuale mercato musicale italiano e delle progressive riaperture dei concerti dal vivo.
Foto © Vito Maria Grattacaso
Video edit di Arianna Bassani
MEMENTO
STICK è il tuo ultimo singolo. Qual è la storia che c’è dietro? Com’è nata?
È nata a maggio 2021. Quel giorno sono arrivato in studio con una pre-prod che avevo fatto a casa. Luca, il mio tastierista, grande amico da sempre e fratello, aveva registrato con l’iPhone il piano che si sente nell’intro. L’abbiamo conclusa insieme. L’ho scritta alla fine di una relazione mega importante nella mia vita.
È un po' una fase di passaggio fondamentale.
La dedichi a qualcuno?
Sì, ma in realtà come ho detto già altre volte è più un messaggio di bene. Ultimamente sto imparando a pensare positivo, ad approcciarmi positivamente a ogni cosa. Vorrei che STICK dicesse questo.
Come è arrivata l'idea della busta-sorpresa con gli adesivi e il cartoncino con i semi da piantare?
Allora, questa è un’idea di Frenka [la social media manager, NdA]. «Grazie Frenka!», come dice Deriansky qui di fianco, ride [NdA]. Ci sembrava carino mandare un messaggio positivo alle persone che mi seguono.
È cambiato il Memento di STICK rispetto all’artista di MEMENTO NON HA PAURA DEL BUIO? In che modo?
Secondo me siamo sempre in continua evoluzione, sia dal punto di vista artistico, che dal punto di vista personale. Sicuramente sono cambiate tante cose che hanno influenzato il mio percorso artistico. Anche a livello di sonorità ho ricevuto stimoli diversi, ho ascoltato un sacco di roba nuova.
Parlando sempre del tuo progetto musicale precedente a STICK, com’è stato collaborare con Rodrigo D’Erasmo?
Purtroppo, dati i tempi, noi non ci siamo mai visti e conosciuti di persona. Tramite Orang3 gli abbiamo fatto sentire il brano, gli è piaciuto e ha suonato gli archi.
C’è qualche artista a cui ti ispiri?
Sì, ci sono davvero tante persone, tanti artisti, tanti musicisti che mi hanno lasciato qualcosa. Io ti posso dire quello che sto ascoltando ultimamente, poi molto probabilmente fra qualche mese spunteranno nomi diversi. Comunque, ascolto in maniera continuativa artisti come Frank Ocean, Fabio Concato, Pino Daniele – che è anche un grande modello per il Guidone, ride [NdA] – e tanti, tantissimi altri.
C’è un messaggio che vuoi trasmettere con la tua musica?
Io scrivo principalmente d’amore, mi viene molto facile parlare di questo.
Sarebbe una bella cosa se riuscissi a trasmettere amore alle persone che mi ascoltano.
L'amore, piccolo spoiler, è quello che muove anche il mio primo album, che uscirà il 20 maggio: ACQUADOLCE. Primo disco, primo amore, primo viaggio. ACQUADOLCE è un altro luogo intimo che vorrei condividere con tutti, e dove chiunque può riflettere, riscoprirsi e incontrarsi.
GUIDO CAGIVA
Da Bari, a 18 anni, ti sei spostato in Olanda, poi nel Regno Unito. Perché alla fine hai scelto Milano?
Ma penso un po’ perché, essendo stato fuori, volevo vivere in una città che avesse lo sguardo rivolto verso l’Europa, dove poter fare musica, visto che l’avevo abbandonata nel periodo all’estero.
Il tuo singolo Per la città è dedicato alla tua città d’origine. Che rapporto hai con Bari?
Sì, è dedicata a Bari, ma anche un po’ a tutte le città. Sicuramente mentre la scrivevo pensavo alle mie origini, poi ognuno può immaginare la propria città, il proprio quartiere. È dedicata alla mia famiglia, ai miei amici, a tutte le persone grazie alle quali sono cresciuto. Il mio rapporto con Bari è amore e odio, ma alla fine non credo che esista un paradiso terreno dove tutto è perfetto.
Sta a noi cercare di apprezzare ciò che viviamo, o comunque sta a noi cambiarlo se possibile, è importante farlo.
Ti manca qualcosa di Bari? E perché proprio la Peroni al Chiringuito?
Beh sì, ovvio. La Peroni gelida ovviamente, qui a Milano non si raggiunge mai la temperatura perfetta, ride [NdA].
Tra Baklava e Per la città c’è una differenza enorme a livello di sound. Cosa è cambiato?
Prima di tutto sono passati un po’ di anni. Baklava esce in un periodo nel quale stavo sperimentando, non avevo ancora firmato nulla, facevo semplicemente uscire le mie tracce. Così come il mio EP, è una roba completamente diversa da adesso.
Ci sono artisti che ti hanno ispirato?
Sì, moltissimi. Difficile nominarli tutti. Poi di base ascolto qualsiasi genere musicale, dalla salsa portoricana alla trap più estrema americana. In Italia Pino Daniele è per me il maestro, Napoli è la culla della musica e della cultura del Sud Italia.
Qual è il pezzo che senti più tuo? E come mai?
Sicuramente Per la città. E poi tutto quello che uscirà da qui in avanti. Per quale motivo? Beh, perché è tutto molto personale.
DERIANSKY
Il nuovo album qonati è clamoroso. Ogni tanto ricorda il primissimo Salmo, ma la maggior parte delle volte mi sono sentita trasportata nel miglior mood hardcore di Bristol. Quali sono stati gli step di costruzione dell’album?
Allora, sicuramente viversi tutte quelle esperienze che poi hanno portato all’album. Subito dopo c'è stata la produzione, lo stile che si vuole ricercare, il sound. Da lì, mentre arrivava la colonna sonora del disco, venivano fuori gli argomenti più grossi, la registrazione dei provini, la scrematura e la selezione delle tracce.
Diciamo che la costruzione dell’album è divisa in due parti: un lavoro fatto da solo, più personale, e poi un lavoro fatto in studio con altra gente.
Nel momento in cui sono entrato in studio è iniziata la scrematura, il rifinimento di tutti i brani. Abbiamo poi avuto il master del disco e da lì è iniziata tutta l’elaborazione dell’immaginario, quindi l’estetica, i video, la copertina. La prima parte è molto di stomaco, la seconda invece è più tecnica.
A proposito di estetica, con Nic Paranoia e Giorgio Cassano hai creato un triumvirato di Futurismo Digitale. Quanto conta l’estetica nella tua musica?
È fondamentale. Musica ed estetica sono come sorelle. Ho già detto più volte che non è necessaria un’estetica o un immaginario definito per spingere bene un disco. Però, una volta che c’è l’estetica studiata sul suono, si crea un immaginario complesso. Io sono molto fan dei progetti audiovisivi di altri artisti. Poi lavoro con gente che stimo e che è molto competente, quindi sono molto sicuro su questo aspetto e sulla sua importanza.
Ti occupi del flow (hip hop) tanto quanto del sound design (elettronica sperimentale e dubstep), però sei passato anche dalla chitarra classica e dalle battaglie di freestyle. Dove pensi che andrai?
Io voglio fare tante cose. La mia priorità è creare un immaginario completo nella testa delle persone, quindi per me può significare anche occuparmi solo di sound design per un cortometraggio dove non c’è musica. Però, voglio dare la mia impronta alla creazione di immaginari, di qualcosa che non sta solo in ambito musicale, ma che si occupi di tutta la parte di intrattenimento e arte, diciamo. Quindi, potrei andare anche verso il sound design per videogiochi, come potrei anche fare un disco lungo 2 ore. Non lo so, dipende da come mi sento.
In mosqe dici «Sto al timone del barcone che è nel limbo». Senti un legame tra la tua musica e la precarietà che stiamo vivendo?
Totalmente. Parlo da ragazzo di 22 anni e poi parlo da ragazzo di 22 anni musicista. Da ragazzo di 22 anni mi sento molto precario su vari aspetti. Ad esempio, in ambito lavorativo io ho un diploma e mi sento molto in bilico su cosa posso fare nella vita. Tutto ciò viene alimentato dal fatto che sono un musicista, quindi non ho idea di dove possa andare a parare tutto questo. Ho quella ansietta che un po’ ti preoccupa, ma poi è quella scintilla che ti fa fare le cose con tanto impegno. Per esempio, nella traccia forse parliamo dei forse che io e Deepho abbiamo nella nostra via sicura.
Mi spiego meglio, sappiamo dove vogliamo andare, ma forse potrebbe non andare come vogliamo, forse nel percorso ci intoppiamo.
Quindi qonati e tutto questo mio modo di approcciare in una maniera un po’ distruttiva è frutto della precarietà che vivo, dei rapporti che sono totalmente inquinati dai social, dalla televisone, il mio rapporto con il lavoro in cui è difficile ottenere un ruolo che ti piace o credibilità in ciò fai.
ALDA
Hai poco più di vent’anni, ma nella tua musica si sente un grandissimo cinismo. Che cosa ti ha deluso?
Una cosa che ho realizzato negli ultimi anni è che questo apparente cinismo, in realtà, è un amore disperato nei confronti della vita. Amare è impegnativo, quindi se da una parte è bello, dall’altra ti porta del dolore, e io quando scrivo sono addolorata.
Strega comanda colore e Occhi di gatto raccontano il passaggio tra l’infanzia e la vita adulta. Qual è il primo ricordo che hai di quando eri piccola e cosa credi di esserti portata dietro fino a oggi?
Quando ero piccola avevo un amico che si chiamava Aldo e il primo giorno di asilo nido ci hanno separati (lui era più grande di me) e ci hanno messi in classi diverse. Questo è il primo ricordo d’infanzia che ho. Dell’infanzia mi porto un po’ dietro il mistero.
Più che un periodo della vita per me l’infanzia è uno stato d’animo, un luogo un po’ offuscato che mi capita di riesplorare attraverso le emozioni.
Quando piango, quando sto male, mi ricordo la potenza dell’emozione di quando stavo male da bambina. Quindi, per forza di cose, è un argomento principale nelle cose che scrivo. I bambini non comunicano troppo attraverso le parole e forse adesso scrivo quello che avrei voluto dire da bambina.
Per Preconcetti hai aperto un sito, aldaxalda.com, dove chiunque può parlare anonimamente di ciò che vuole. Come ti è venuta questa idea? Ho visto che hai parlato molto di mancanza di empatia
Sì, esatto. È stata un’idea di Frenka. Ho trovato l’idea molto coerente con la canzone, perché una cosa che riscontro spesso nei miei coetanei e in me è la paura di esprimersi, la paura di parlare. Però secondo me in un periodo come questo non possiamo avere paura di parlare, è importante, adesso più che mai.
Quali sono i peggiori pregiudizi? Pensi siano contrastabili con la musica e, in particolare, con la tua musica?
I peggiori pregiudizi secondo me sono quelli che feriscono gli altri. Penso che tutti in un modo o nell’altro possiamo fare del male al prossimo. È importante rendersene conto, è pericoloso invece non farlo. Io non penso che la musica o qualsiasi altra forma d’arte possa abbatterli, perché sono troppo radicati nella cultura.
Però, sicuramente l’arte è un mezzo che può servire a risvegliare la coscienza delle persone.
Ma questa Gen Z è davvero così fluida come la descrivono tutti? Quali pensate siano le caratteristiche della vostra generazione?
ALDA –
Se essere fluidi significa mettersi in discussione o aprirsi un po’ di più allora forse un pochino lo stiamo facendo.
Guido Cagiva – Di base non generalizzo per generazione, però quello che vedo con i miei coetanei è che stiamo portando un po’ di innovazione, non trascurando comunque la cultura e la tradizione di ieri.
Memento – Secondo me il concetto di fluidità è molto ampio per poterlo racchiudere in una domanda sola. Sicuramente, vedo che la nostra generazione ha uno sguardo più ampio rispetto alle generazioni passate dei nostri genitori e nonni. Chiaramente ci sono delle caratteristiche che ricorrono trasversalmente in tutte le generazioni.
Deriansky – Io credo che la nostra generazione sia fluida nel senso che scorre tutto più facilmente, succede tutto molto più velocemente. Credo che la mia generazione sia molto in grado di adattarsi alle situazioni e abbia un’analisi più completa rispetto a quelle precedenti.
Il rischio però è di schiantarsi, perché le cose succedono molto prima, gli step vengono sempre di più accorciati.
Bisogna avere molta consapevolezza di questo.
Vi ci riconoscete in questa generazione?
Deriansky – Io sì, mi sento parte di una fetta di questa Generazione Z.
La cosa in comune che ho con i miei coetanei è solo lo struggle del momento storico.
Mi sento parte di quel gruppo di persone che vuole sfruttare in modo sano la possibilità di avere tutto fruibile.
Guido Cagiva – Sono completamente d’accordo. Come ho già detto prima non generalizzo. Di base passo del tempo con le persone con cui ho qualcosa in comune, con cui condivido gli stessi obiettivi. Io sono andato a cercare quali anni fossero compresi in questa generazione: dal 1995 al 2010 sono parecchi anni, difficile riconoscersi tutti in una generazione. È anche vero, però, che sentiamo tutti una rabbia simile, specie in relazione alle ingiustizie sociali. Il 13 maggio [oggi, NdA] uscirà il mio nuovo singolo, SMOKING, con Nerone ed è un pezzo che vuole raccontare proprio questo. È per chi non si fida, e fa bene.
Che cosa vorreste cambiare del panorama musicale italiano?
Insieme – Tutto tranne Frenka, ridono [NdA]
ALDA –
Personalmente una cosa che mi sembra di riscontrare spesso nella musica è che a volte mi sembra “intrattenimento”, e purtroppo siamo tutti vittime dell’intrattenimento.
Forse è anche questo mondo che ci porta a esserlo. E quindi, penso che in un periodo come questo bisogni tenere gli occhi non aperti, di più, altrimenti è molto facile sprofondare nella superficialità. Questo è un problema della musica, ma non solo, penso sia un problema generale che ovviamente va a toccare anche la musica.
Memento – Sarebbe bello poter conciliare il mio amore per la musica e la musica come professione. Però purtroppo in questo periodo storico poter vivere di musica, senza che questa diventi un prodotto, forse è impossibile.
Sarebbe bello poter far incontrare in maniera sana il mercato musicale e la musica intesa come arte.
Deriansky – Sì, io sono d’accordo con Andrea. Quello che io vorrei cambiasse è questa convinzione che fare musica sia facile. Vorrei che fare il musicista non fosse il nuovo “essere calciatore”. Oggi sono tutti musicisti, tutti critici, esiste questa superficialità. Un po’ mi sento offeso a essere paragonato a gente che magari non ci dà lo stesso peso che ci do io.
Guido Cagiva – Anche io d’accordissimo con tutto.
Ciò che non mi piace del mercato musicale italiano è l’omologazione, e ce n’è molta.
Tutti cercano la Hit, il prodotto, ed è per questo che molti artisti sono molto simili fra loro ed esistono poche subculture rispetto ad altri posti nel mondo.
Deriansky – Secondo me c’è anche poca realness, molta gente parla di cose che non vive solo perché è un trend parlarne. C’è molta poca consapevolezza di quello di cui si sta parlando, non si dà peso alle parole, soprattutto nel mio genere, il rap.
Sono ormai 5 anni che va di moda essere “criminali” e questo problema ha alla base tante radici marce.
Ma forse non è questione di panorama musicale, ma proprio di mentalità.
Insieme – Abbiamo distrutto la discografia italiana, ridono [NdA]
Avete iniziato con Asian Fake durante la pandemia. Come state vivendo questo progressivo ritorno alla “normalità”, tra concerti, festival o prossime date vostre?
Deriansky – Beh, io sono molto gasato. Il live, l’essere presente concretamente, avere contatto diretto con la musica e con chi l’ascolta, è la parte fondamentale di tutto. Sono carico, spero di suonare tutti i giorni.
ALDA – Anche io sono mega carica, soprattutto perché la pandemia ha creato una sorta di blocco temporale, è stato come se il tempo si fosse fermato, e devo dire che questa cosa mi ha rincoglionita parecchio.
Non vedo l’ora di iniziare con i live proprio per rimettere i piedi per terra, ecco.
Guido Cagiva – Speriamo di iniziare a suonare un po’ in giro. L’anno scorso si è fatto però è stato tutto un po’ finto, con la gente seduta. Speriamo davvero di poter iniziare a pagare l’affitto, ride [NdA].
Memento – Io sto davvero bene e sono molto contento in questo momento. Chiaramente il periodo della pandemia è stato molto brutto per tutta una serie di motivi, che condividiamo tutti, però ho avuto allo stesso tempo degli stimoli. In teoria suoneremo tantissimo, perché il 13 maggio [oggi, NdA] parte il mio tour, all'Alcazar di Roma. Non vedo l’ora che inizi questo viaggio.
Mi sento blessato dalla vita.
La newsletter di K Magazine che racconta i trend, a strati.
Ho letto e compreso le informazioni riguardanti il trattamento dei miei dati personali illustrate nella Politica sulla privacy e accetto di ricevere comunicazioni commerciali tramite questa newsletter o altri mezzi utilizzati dall'editore.