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Musica

Un nonluogo tra terra e stelle

di Paola Paniccia
16.11.2021

La passione per l'astrologia, l'orgoglio
per le proprie origini, il mix tra i generi e
qualche consiglio per chi vuole fare musica.
Laila Al Habash racconta Mystic Motel

Tempo di lettura 10'

Il contenuto è stato realizzato in collaborazione
con FUTURA 1993, il primo network creativo
gestito da una redazione indipendente.

Foto cover © Arianna Bassani

Mystic Motel è il primo album di Laila Al Habash: una rappresentazione in musica del suo immaginario fatto di astri, luoghi lontani con le loro annesse tradizioni e modi di fare, e una sincera spontaneità. Laila, infatti, fonda la sua arte sulla schiettezza e la sincerità, mostrandosi così com’è, senza filtri.

In questo suo nuovo lavoro discografico, fuori per Undamento, l’artista italo-palestinese apre le porte di 12 stanze di questo Mystic Motel di cui solo lei ne custodisce gelosamente le chiavi: sono stanze diverse, ognuna con il proprio carattere, la propria ragion d’essere e la propria magia.

Il sound ipnotico e deciso dell’album è stato arricchito dalle produzioni di Niccolò Contessa e STABBER, che sembra abbiano cucito per Laila un vestito su misura: niente è fuori posto, la complessità degli stili e dei generi di Mystic Motel è stata strutturata in modo da rendere il lavoro in modo davvero unico e personale.

Foto © Vito Maria Grattacaso / LUZ

L’uomo aveva capito sin dalla preistoria che le stelle e gli astri erano collegati a noi.

Laila Al Habash

È davvero interessante il fil rouge che collega il tuo lavoro precedente, l’EP Moquette – in cui questa parola già ci trasportava in una stanza di un motel anni ’90 – con il tuo nuovo disco, Mystic Motel. Perché hai deciso di fondare la tua arte su questo nonluogo? Cosa ti affascina a riguardo?
In realtà questa scelta è arrivata un po’ a posteriori. Solo dopo aver completato entrambi i lavori ho capito infatti che c’era questo filo rosso a collegare i due dischi. Mi piacevano molto come ambientazioni e le sentivo molto aderenti a me. Quindi sì, dalla Moquette, da una cosa piccola come un EP, mi piaceva l’idea di trasportare l’immaginario in un qualcosa di più grande, ma comunque collegato, come un Motel appunto, con tante stanze, dove ogni stanza è una canzone.

Come definiresti la tua arte in tre parole?
È molto difficile in tre parole, però ti direi sicuramente colorata, morbida come una moquette e sfacciata.

Gli oroscopi e, in generale, l'astrologia sono molto presenti nella tua musica. Vuoi dirci di più riguardo questa tua passione?
È una cosa che fa parte di me, quindi di riflesso fa parte anche di quello che faccio. In realtà non mi viene in mente un momento della mia vita in cui non ci fosse questa passione, ricordo addirittura il giorno in cui chiesi a mia madre di che segno ero: avevo tipo 5 o 6 anni. È una cosa che mi ha sempre attratto, è una chiave di lettura dei caratteri, delle persone e di quello che ti circonda. Esistono tanti modi di leggere la realtà, e appassionarmi all’astrologia mi aiuta un po’ a comprendere me stessa e gli altri, ad orientarmi. In generale è una cosa che trovo molto interessante dal momento che ha radici molto profonde: l’uomo aveva capito sin dalla preistoria che le stelle e gli astri erano collegati a noi.

Ci descriveresti un po’ il tuo rapporto fra Roma, Milano, e le tue origini palestinesi?
Sono italiana, mio padre è palestinese, quindi la cultura palestinese fa parte di me. Questo mi rende molto fiera: sono contenta e orgogliosa di essere essere italo-palestinese. È un aspetto molto importante della mia famiglia, della mia cultura, di come sono cresciuta, delle mie abitudini. Roma e Milano sono entrambi posti che a loro modo mi attraggono molto e allo stesso tempo ogni tanto mi fanno arrabbiare. Sono nata e cresciuta a Roma, o meglio vicino Roma, a Monterotondo, ma poi ho deciso di andarmene. Sono venuta a Milano, mi piace stare qui, ma anche in questa città, dopo un po’, ho trovato alcune cose che mi fanno innervosire.

Con le città dove vivo ho un rapporto che definirei romantico. Tipo le coppie che sono perfette insieme ma si tirano i piatti.

L’ambiguità di Oracolo è molto affascinante: all’apparenza una canzone d’amore, in realtà hai affermato che è indirizzata al rapporto madre-figli*. Anche sui tuoi social hai mostrato spesso la relazione confidenziale con tua mamma. Come definiresti il rapporto con lei, vista anche la distanza Roma/Milano che ora vi divide?
In realtà il mio rapporto con mia madre non è mega confidenziale. Ovviamente le voglio davvero molto bene, ma non mi sarei mai aspettata di scriverle una canzone. Quando è nata Oracolo è stata una sorpresa. È un rapporto di rispetto in cui c’è distanza e amore. Distanza sia perché sono lontana, sia perché non è una di quelle mamme oppressive o che vogliono comportarsi da amica a tutti i costi. Mi ha insegnato tantissime cose, prima di tutto l’indipendenza, il farsi tutto da sé, prendersi molte responsabilità: è una mamma dura ma amorevole.

Com’è nata la collaborazione con Coez? E perché hai deciso di farlo rimanere l’unico featuring dell’album?
Abbiamo tanti punti in comune io e lui: c’è Niccolò Contessa, producer di entrambi, e Tommaso Biagetti, uno dei miei manager, che è stato il plug della collaborazione. Quindi diciamo che gli astri si sono allineati. Avevo registrato una demo, e quando Tommaso l’ha ascoltata mi ha detto che secondo lui poteva piacere a Coez. All’inizio ero molto timorosa perché sono una sua grande fan e temevo di fare una figuraccia. Invece ho dato retta al suggerimento, ho inviato la demo a Silvano e in una notte abbiamo scritto la canzone su WhatsApp, io a Milano e lui a Roma. Sono molto contenta del brano che ho fatto con lui, che poi è anche l’unico feat del disco. Devo ammettere infatti che non ho mai avuto la volontà di collaborare con altri, sto ancora costruendo la mia immagine, è il mio primo disco, e voglio presentarmi con quello che so fare alla mia maniera, nel modo più vero possibile.

I tuoi brani sono un misto fra semplicità e sensualità. Riesci a trasmettere davvero anche tutto il non detto, solo con il suono della tua voce. Visto che il tuo background è totalmente diverso dalla musica – sei laureata in economia e management – come hai scoperto che la musica era la tua strada? È sempre stata una tua dote innata?

In realtà è più il contrario, la musica è sempre stata la mia scelta, e la laurea è stata un incidente di percorso – ride NdA.

Nel senso che io sono stata instradata alla musica già a tre anni, ho studiato musica per tutta la vita. Quando ne avevo 13 ho iniziato a fare canzoni per conto mio, ma lo facevo sempre così un po’ per gioco, senza puntarci chissà che. A cambiare le cose è stato quando ho notato che c’erano persone che volevano investire tempo ed energie sul mio progetto. Poi in generale io sono una persona molto seria e con un grande senso del dovere, quindi avendo iniziato l’università l’ho voluta finire, ma già mentre studiavo sapevo che la mia strada era un’altra.

intervista a Laila Al Habash foto di Vito Maria Grattacaso / LUZ

Meglio far qualcosa e poi aggiustarlo in corso d’opera che stare lì col rimpianto di non averci provato.

Laila Al Habash

In Sunshine c’è un tuo vocale di sottofondo mentre parli di una ricetta. Cosa rappresenta questa scelta? Sei legata a quel piatto in particolare?
Voglio che rimanga un mistero, che ognuno ci dia il suo significato. Certamente c’è un motivo dietro questa scelta, ma mi piace pensare che ognuno ci possa immaginare quello che vuole.

Mystic Motel è un perfetto puzzle di stili e generi, che spaziano dall’R&B al cantautorato, passando per mille sfumature: come descrivi il genere a cui fai riferimento? E quanto è stata decisiva l’influenza della produzione di Contessa e STABBER in quest’album?
Come hai detto tu il genere non riesco a definirlo precisamente: mi ritrovo molto nel cantautorato, nell’R&B, mi piace fare ballad tipo Fotoromanzi… Una cosa certa è che con Niccolò e STABBER abbiamo creato un qualcosa che non è né STABBER né Niccolò, non appartiene né a uno né all’altro, è assolutamente al 100% mia. Sicuramente è stata decisiva l’influenza di entrambi, hanno lavorato al disco in modo molto equilibrato e omogeneo, e sono stati davvero bravi a orchestrare il tutto.

L’artwork in copertina rispecchia davvero molto la tua musica: diretta, senza fronzoli, ma estremamente comunicativa. Vuoi parlarci un po’ del processo di creazione artistica di questa? Da chi è partita l’idea?
La copertina è una foto di Gianluca Moro, un fotografo di Roma che stimo molto. Certamente per la ricerca dello scatto giusto è stato fondamentale il contributo di Sara e Tommaso, che lavorano con me.

Diciamo che tutto quello che di bello c’è nel mio progetto nasce dall’unione e dall’allineamento di tante teste. Avere delle persone che tengono così tanto al mio progetto, ci mettono passione, impiegano tempo ed energia, mi rende estremamente fiera.

Su questa copertina c’è stata tanta ricerca da parte di tutti, per capire la direzione che mi rispecchiasse al meglio. Come dicevo, Mystic Motel è un po’ un ibrido di tante cose molto diverse: di stili, di musica, di persone che ci hanno lavorato. Ne abbiamo discusso a lungo, e siamo arrivati alla conclusione che volevamo sicuramente il mio volto in primo piano. È stato davvero un lavoro di team, in primis di Sara e Tommaso, ma anche delle persone che hanno contribuito alla riuscita dello scatto, come la stylist Francesca Piovano, il fotografo Gianluca Moro, e poi ovviamente anche il mio gusto, dato che sono io che ci metto la faccia.

Da ambassador della gender equality nel music business italiano, quali sono secondo te i gesti, i consigli che ti senti di dare sia alle persone addette ai lavori che al pubblico in generale, per far sì che questa uguaglianza si raggiunga davvero, e non siano solamente parole?
A chi è addetto ai lavori direi di cercare di informarsi il più possibile sulla questione di genere, perché secondo me parte tutto da lì.

Dal momento in cui una persona non è cosciente del proprio privilegio, non riesce ad aprire gli occhi su tante situazioni. Ovviamente riconoscere di essere un privilegiato, di avere uno status migliore di un altro, è una cosa scomoda per molti.

Quindi prima di tutto c’è bisogno di fare informazione, in generale anche per sé stessi. E lo stesso vale per il pubblico, deve essere un’azione socio-culturale che possa partire da tutti. Però ho un consiglio per le ragazze che vogliono fare musica: è quello di non farsi tante paranoie, buttarsi, prendersi il proprio spazio, smettere di chiedere scusa e di sentirsi inadeguate, avere più faccia tosta. Meglio far qualcosa e poi aggiustarlo in corso d’opera che stare lì col rimpianto di non averci provato.

Foto backstage © Arianna Bassani

Laila Al Habash foto di Arianna Bassani K Magazine

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