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Musica

Studio Murena è una democrazia

di Claudio Biazzetti

05.07.2023

Cinque diplomati al Conservatorio e
un rapper: gli Studio Murena raccontano
la totale assenza di confini nella musica
contemporanea.  
Tempo di lettura 12'

Il bar di fronte alla sala prove degli Studio Murena è il primo fan club della band. I gestori a un certo punto hanno anche smesso di pagare la SIAE per un po’: tanto il sottofondo musicale arrivava direttamente dal piccolo scantinato dall’altra parte della strada, nell’agglomerato di palazzi a sud-est di Milano che prende il nome di San Donato. «Poi però gli hanno rotto il cazzo e hanno dovuto ricominciare a pagarla» ridacchia Carma, voce e prima linea sul palco dei Murena. Il loro progetto è una bestia rara in Italia: Studio Murena è un intruglio bollente di jazz, elettronica, funk, rime e pure un pizzico di prog, riassunto alla perfezione nell’ultimo album WadiruM, uscito per Universal a maggio 2023. Per il resto, più che un’estrema affinità artistica, è palese che tra i regaz si sia cementata in poco più di cinque anni un’amicizia limpida. Una di quelle per cui perdi il conto delle cazzate che spari e delle risate che seguono. 

 

Per questo disco siamo partiti dall’idea del singolo che si sottoponeva agli altri in sala prove e poi rielaboravamo tutti insieme.

Studio Murena

Però che figata questa cosa del bar.

Sì, avremmo potuto avere dei cagacazzo di fronte. E invece sono dei presi bene. Poi c’è anche la pizzeria lì di fianco che è un altro posto del cuore. Così come il kebabbaro, dove praticamente c’è questa ruota che puoi girare e puoi vincere dei piatti in omaggio. Ovviamente non abbiamo mai vinto un cazzo. L’unico di noi che ha vinto un piatto di carne è vegetariano.

Comunque avere una sala prove vostra è fondamentale, no?

Scherzi? Questa sala prove è stata la svolta della nostra carriera. Non sai quanti soldi ci siamo risparmiati. I genitori di Carma (voce, NdR) ci odieranno per avergli squattato la cantina. Ci siamo insediati 3 anni fa, da subito. Carma in realtà già la usava per un altro progetto. Ancora prima, suo fratello la usava per suonare la batteria.

Però se vi sentono dal bar non è insonorizzata come sala.

Per niente. È la classica sala prove coi cartoni delle uova alle pareti. Vuole essere insonorizzata, ma non lo è. Infatti, una volta finivamo di provare alle due di mattina. Ora alle dieci/dieci e mezza stacchiamo, anche perché non abbiamo voglia di vedere i carabinieri. Abbiamo anche avuto dei guai con una vecchia che per lamentarsi andava a citofonare a casa dei miei. Solo che è una cantina, mica sentiamo il campanello. È successo un paio di volte che i miei non erano in casa e questa povera signora si è addormentata attaccata al citofono.

Come fate a incastrare tutti gli impegni per beccarvi in sei persone?

C’è da dire che ora è più facile perché viviamo tutti abbastanza vicini, a Milano sud. Se praticamente tutti a Milano si stanno spostando a nord, noi nell’ultimo anno ci siamo trasferiti tutti a sud. Molti di noi tra l’altro sono coinquilini. Dopodiché abbiamo fissato al martedì il giorno sacro in cui facciamo le prove.

Comunque servono sempre le prove, anche perché di date ne state facendo.
Sì, il 2 luglio abbiamo aperto i Red Hot Chili Peppers. Stiamo collezionando aperture di cui andiamo molto fieri: finora abbiamo suonato prima dei Battles, i Comet Is Coming, i Badbadnotgood.

Riuscite anche a interagire con queste band?

Beh, i Badbadnotgood sono dei presi bene. Un po’ ci abbiamo chiacchierato. Anche coi Battles. Il batterista è un capo totale.

Minchia, John Stanier! È stato anche batterista degli Helmet.

Un pazzo. Tifoso dell’Inter, infottato di America Latina. Davvero una persona incredibile, oltre che un musicista allucinante. Abbiamo parlato di Perù. Forse quelli con cui abbiamo parlato meno sono i Comet. Erano anche un po’ timidi. In più in quel concerto ci avevano chiesto di suonare senza la voce. Solo dopo Carma ha pensato che si sarebbe potuto offendere. Per fortuna non l’ha fatto. Era proprio all’inizio di tutto. Ora non accetteremmo mai richieste simili. O suoniamo tutti, o non suoniamo.

Ma nella vita voi fate anche qualcos’altro?

Sì, abbiamo tutti un side job. Chi di noi che prima lavorava alla Casio e vendeva pianoforti e tastiere, però era infattibile da conciliare alla band. C’è chi fa il montatore video, chi l’educatore, chi l’insegnante di musica. Più o meno ci arrangiamo come viene.

Sentivamo il bisogno di dire qualcosa con dei brani che ci rappresentassero di più.

Studio Murena

Quanto tempo ci è voluto a fare il disco, dall’idea al master?

Tantissimo, l’idea è del 2021 e il master è stato poco prima dell’uscita. In realtà il disco era praticamente pronto nel novembre 2021. Dall’idea alla registrazione sono passati tre mesi. Il problema è stato chiuderlo con le collaborazioni. Poi l'anno scorso ci hanno chiesto di aggiungere due brani in più. Quindi era già passato un botto di tempo. Uno è quello con Laila Al Habash e l’altro è MON AMI. Li abbiamo aggiunti proprio in coda di tutto. Quindi il master è arrivato molto più in là. Il disco era praticamente chiuso da tempo. Sentivamo anche noi di dire qualcosa di nuovo con dei brani che ci rappresentassero di più. Perché la maggior parte dei brani era di un anno e mezzo prima. Cercavamo anche un team per lanciarlo al meglio e con Virgin e Universal lo abbiamo trovato. Siamo stati contenti di aver aspettato il momento giusto.

C’è un motivo particolare per cui CORRI è l’ultimo del disco? Sembra quasi un manifesto.

Un po’ sì, è voluto. Poi abbiamo voluto mettere i due pezzi che erano già usciti in coda al disco, sarà perché avevano anche un mood più oscuro. Il disco inizia un po’ con questa situazione tribale, poi sviluppandosi diventa più morbido a metà e sul finale è più scuro. Abbiamo cercato di creare questo roller coaster di emozione. La tracklist è sempre stata importante, ci abbiamo ragionato molto su. Anche nel primo disco finiva con Eclissi, un pezzo bello forte. Ci piacciono i finali a effetto. In quel caso, c’è proprio una coda solo acustica.

State già lavorando a un nuovo disco?

Stiamo raccogliendo idee, ma non si può certo dire che ci stiamo lavorando. Facciamo piccoli passi. Ogni volta lo interpretiamo a seconda della situazione. Per questo disco qui, siamo partiti dall’idea del singolo che si sottoponeva agli altri in saletta prove e poi lo si rimasticava tutti insieme. Alla fine cambiava totalmente faccia.

Ma c’è qualche volta in cui qualcuno di voi s’impunta sulle sue idee?

Certo. Alcuni di noi tendono a essere più fermi sulle loro idee, altri per fortuna smussano un po’ gli angoli. Abbiamo un sacco di gruppi WhatsApp dove discutiamo. L’unico che manda le mail è Marco (batterista, NdR), ma non se le caga nessuno. L’importante è essere molto flessibili in generale.

Non siamo un gruppo con un frontman nel senso della figura che porta le idee e tutti si adeguano. Questo comporta un gran casino ma è anche un grande valore aggiunto. Come in ogni democrazia ci si perde sempre in ballottaggi eterni.

Accuse di brogli…

Sì, e favoritismi. Falsi in bilancio.

E com’è nata questa democrazia?

Una buona parte di noi si è incontrata al Conservatorio, chi faceva Musica Elettronica e chi Jazz. Carma invece l’abbiamo incontrato per coincidenza a qualche jam session, ma ce l’aveva consigliato anche questo nostro amico in comune. Per cui, a un certo punto gli abbiamo proposto di unirsi a noi e la risposta è stata subito positiva anche dalle prime prove live che abbiamo fatto. Il pubblico era gasato. Ci siamo trovati super bene. Poi abbiamo avuto fortuna perché c’era un contest indetto da Simone (manager, NdR) per suonare. Gli avevamo mandato diecimila mail per essere sicuri di poter partecipare. Eravamo a casa e ci siamo detti: “OK, adesso gli mandiamo così tante mail che almeno a una dovrà risponderci”. Nessuno ci ha cagato. A caso, dopo un tot di tempo, ci ha risposto. Probabilmente eravamo finiti nella casella spam. Per un pelo: siamo stati l’ultimo progetto selezionato dei trenta nel contest. Tra l’altro era un contest acustico, chitarra e voce.

Beh, però poi vi è servito.

Sì, perché ci ha portato a conoscere Simone. Tra l’altro avevamo mandato tutto due minuti prima della scadenza per inoltrare i progetti. Avevamo mandato Crunchy Bites, il nostro primissimo disco che non c’entrava niente con il contest acustico, essendo praticamente tutto elettronico. Era tutto beat e tastiera. Avevamo questo progetto elettronico che poi è confluito con un altro progetto strumentale. Ma, a quel punto, sentivamo di avere bisogno di una voce. Avevamo provato un paio di altre persone prima di Carma ma non ci eravamo trovati benissimo. Con lui abbiamo trovato ciò che cercavamo. Poi siamo tutti fan dell’hip hop. Poi, figurati, noi all’inizio sul palco eravamo di gomma. Mega impacciati. Quindi ci siamo detti: Cazzo, ci serve un frontman, almeno guardano lui”. Carma dice che siamo ancora un po’ ingommati [risata collettiva NdR].

Carma, tu invece cosa facevi prima?

Io prima avevo un progetto, che esiste tuttora, che è sostanzialmente hip hop molto underground a San Donato. Con questo progetto nel 2018 andavamo molto a LUME, uno spazio per suonare. E lì facevamo molti freestyle. Il collegamento che c’è stato con Matteo e Giovanni (tastiere e synth, NdR) è che anche loro come me bazzicavano una realtà di musica elettronica spintissima che si chiamava Intersezioni. Ho scoperto poi dopo che loro due sono stati praticamente membri fondatori della cosa. Che è strano perché i DJ sembrano tutti agitati e loro due invece sono persone che mi sembravano a posto. Quindi, tra LUME e Intersezioni, alla fine ci siamo incontrati. Io comunque mi ero infottato già con robe jazz tipo Black Focus. Lavavo i piatti ascoltando Yussef Kamaal. C’è comunque un filo conduttore che ci collega tutti.

Hai mai pensato di scrivere in inglese?

Ma se faccio già fatica a parlarlo [ride NdR]. Ad agosto suoniamo a Budapest, è la prima data all’estero. Mi sto preparando tutta la routine per non dire minchiate sul palco. Ci ho pensato: per come scrivo e per come ragiono, mi viene difficilissimo l’inglese. Ci sta che poi ti ascolti una roba così in italiano. Però siamo anche contenti di suonare all’estero. Siamo curiosi.

E com’è la vita in tour in sei?

C’è stato chi veniva preso in giro per essersi portato il cuscino. Ma dopo 13 ore di furgoncino non ridevamo mica più tanto. Ora molti di noi si sono adeguati. La comodità è una priorità. Fai conto: quella volta dovevamo suonare al Primo Maggio di Taranto, ma la sera prima avevamo un live a Brescia. Alle 11 di mattina dovevamo essere in Puglia per il soundcheck. Avevamo questo driver che è diventato una leggenda per vari motivi. Si è fatto Brescia-Taranto con una pausa sola. Mille chilometri, non una parola. A cannone. Poi si è capito perché.

Ci state comunque facendo il callo.

Sì, ma poi spesso le date sono separate. Difficile che capiti che ne facciamo più di 3 insieme. Abbiamo tutto il tempo per ripigliarci. Ovviamente vorremmo suonare di più, pur non lamentandoci di nulla. Finché non fai 25 date al mese e ti rendi conto che stai pagando un affitto per nulla, va bene tutto.

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