di Valentina Ecca
10.12.2021
Tempo di lettura 7'
Andare a Napoli è sempre un’esperienza mistica, soprattutto se sono due anni che vivi a Milano e non sei più abituata a tutto quel disordine complesso, alla gente che attacca bottone con te in mezzo alla strada e al pranzo che costa solo un euro e cinquanta.
Vito, che è di Salerno, non è più abituato a un treno che fa 85 minuti di ritardo, ma questa è un'altra storia e Napoli non c'entra.
Alla fine ce l'abbiamo fatta e siamo arrivati pronti per il nostro appuntamento con Thru Collected.
Li abbiamo incontrati in un baretto di Piazza del Plebiscito, li abbiamo seguiti e fotografati verso il lungomare di Napoli - la loro città - mentre ci parlavano di Discomoneta, di come si sono conosciuti e del grado di disillusione che è necessario per fondare un collettivo in piena pandemia.
Foto © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Sono un po’ in difficoltà perché ho scoperto che non dobbiamo mettere articoli davanti al vostro nome, non possiamo dire "andiamo a sentire i Thru Collected", perché?
Gabriele, co-founder e videomaker: Non si mette l’articolo perché Thru Collected non è il gruppo ma è la label, non siamo una band. Ogni artista può essere indicato con il proprio nome: Sano.Oh, Gli Specchiopaura, Alice, ecc…
Come definiamo Thru Collected in una frase?
Riccardo, co-founder e videmaker: Thru Collected nasceva come piattaforma digitale su cui gli artisti dell'etichetta potevano esporre altri aspetti di se stessi.
L'idea che la musica possa acquisire valore se le dai un'immagine è ciò che più mi affascina del mondo "discografico" nella misura in cui quell'immagine sia l'ingrandimento di atteggiamenti e attitudini reali degli artisti.
Con Gabriele e Giovanni il lavoro in funzione di questa visione è cominciato con Alice. Non c'era bisogno di creare una piattaforma perche ci avrebbe tolto del tempo per lavorare al resto. Ho deciso quindi di imporre Thru Collected come etichetta, nel senso di ricercare artisti, creare un organico.
Fabrizio, (1/2 Specchiopaura): Volevamo fare musica che fosse libera da schemi troppo assillanti.
Quindi se domani vi propongono un contratto dite di no
Rainer, producer: Dipende dal contratto, ma facciamo in modo che non ci serva nulla che non sia strettamente proveniente da noi e dal nostro lavoro.
Gabriele: Sì, gestiamo tutto internamente e da chi decidiamo di portare dentro la nostra musica.
Come nasce l’idea di mettere insieme un collettivo artistico in piena pandemia?
Gabriele: Io e Riccardo collaboravamo, facevamo videoclip e grafiche. Riccardo e Giovanni - sound designer e produttore - si sono conosciuti e hanno iniziato a lavorare insieme ai pezzi degli altri.
All’inizio doveva solo essere uno spazio digitale e fisico in cui far collaborare degli artisti poi siamo diventati qualcosa di più complesso.
Cioè?
Rainer: C’è chi fa video, chi canta, chi suona, chi fa grafica e arte visuale. Materialmente abbiamo lo studio a Fuorigrotta dove lavoriamo a tutto che sia video che sia audio che sia tempo da perdere.
Stando insieme c'è un continuo flusso di feedback e stimoli che arricchiscono il processo ma sopratutto danno un impronta precisa ma irriconoscibile ad ogni cosa che facciamo.
Luckylapolo, voce e scrittura: Stiamo insieme praticamente tutti i giorni quasi ventiquattro ore su ventiquattro. Scendiamo insieme la sera, facciamo musica come la facevamo prima singolarmente per divertirci, ora la facciamo insieme.
Alice, voce e scrittura: Viviamo in simbiosi, e da quello che ci succede quando stiamo insieme esce la nostra musica.
Quanto conta l’identità del singolo in un progetto come quello di un collettivo artistico, dove lo scambio e la globalità rendono più ricco il progetto ma allo stesso tempo l’ego del singolo viene meno
Gabriele: Ma in realtà ci sarà in futuro possibilità di dare più spazio alla voce dei singoli artisti.
Rainer: La cosa interessante che esce è lo scontro e l’incontro delle nostre idee e della nostra voce, da questo nasce tutto. La sintesi di quello che è stato lavorare insieme negli ultimi tempi è la cosa più bella.
Non abbiamo eclissato le singole voci, le abbiamo intrecciate, proprio a rappresentare a pieno la vita di tutti i giorni e il tempo che passiamo insieme.
Riccardo: I progetti fatti in TC pur essendo lavorati in collettivita? hanno identita? abbastanza individuali. il sound di Altea, l'auto tune che domina alcuni pezzi ed è assente in altri, la distanza di Alice con la sua intimita?, il canto popolare, l'elettronica distorta dal digitale.
Le tracce che sono state raccolte in Discomoneta sono il manifesto di diversi artisti che lavorano assieme e continuano a farlo, la forma in cui usciranno è determinata da quello che succederà durante il processo.
La cosa straniante del disco è l’intrecciarsi di voci, quasi come se non voleste dirci chi canta cosa, chi ha scritto cosa, come se Thru Collected fosse una voce sola. È così?
Luckylapolo: Ci tenevamo tutti al progetto, così tanto da fare un passo indietro rispetto a noi stessi per dare luce al collettivo e all’obiettivo artistico che avevamo. Noi volevamo essere un concetto non una persona.
Volevamo andare un po’ contro a quello che c’è oggi in giro, in cui è l’immagine che vende e non la voce degli artisti e le loro idee.
Rainer: Rispecchia a pieno l’approccio al lavoro che abbiamo avuto dall’inizio, lavorando prima tutti nello stesso luogo, ci incontravamo lì, suonavamo. Si mescolava tutto.
Nessuno dice: “Quel pezzo è mio”?
Gabriele: No mai, perché è difficile. Sarebbe una bugia.
Siete usciti con un disco contenente 20 tracce, in un periodo storico in cui la discografia produce singoli su singoli. Perché avete sentito l’esigenza di uscire con un album?
Gabriele: Dopo Artemoneta e Atlante abbiamo cominciato a lavorare tantissimo sulla musica, proprio a livello quantitativo.
A un certo punto ci siamo resi conto che non avrebbe avuto senso gestire 20 uscite - separatamente -. Abbiamo pensato facciamo una raccolta, facciamo uscire tutto adesso, questo materiale appartiene ad ora non ha senso diluirlo. Più avanti penseremo alle produzioni dei singoli.
C’è un sacco di Napoli nel vostro disco, che importanza ha per voi parlare della città da dove venite?
Fabrizio: Beh, nell’ultimo periodo ci siamo fatti influenzare molto dal discorso etnico del passato, Sano è il figlio di un cantante che fa musica popolare, Maurizio Capone, e quel suono lì si riflette sulla musica che facciamo. Per me è naturale scrivere in napoletano e cantare in dialetto. Napoli mi ispira, è il posto da dove vengo e penso che sia così per tutti.
Rainer: Veniamo tutti da zone diverse della città, quando ci siamo incontrati avevamo tanto da dirci e da raccontarci rispetto a ciò che avevamo vissuto. Napoli è una città abbastanza grande per permettere la nascita di situazioni interessanti, però è anche piccola e questo ti aiuta a conoscere tutto e a non perderti nulla.
Quindi non appartenete a una zona precisa di Napoli
Rainer: No, veniamo da ovunque, c’è chi è di Casavatore, Zona Flegrea, Fuorigrotta. Siamo contaminati da posti diversi.
Poi c’è Altea - una delle due voci femminili del collettivo, non era presente durante l’intervista, ndr - che è pugliese, che studia qui, vive al centro e ha un’ulteriore punto di vista su Napoli che ci arricchisce.
Quindi come vi siete conosciuti più o meno?
Riccardo: Abbiamo iniziato con Alice, poi sono arrivati Specchiopaura, pescati su soundcloud da Gabriele. Grazie ad Alice abbiamo conosciuto Sano e Rainer. Tutt'ora continiamo a conoscere persone con cui tutti o qualcuno di noi trova stimolante lavorare, e diventano progetti Thru. Gli artisti di Thru lavorano con altri artisti di Thru, è da questo che nasce il collettivo.
Rainer: Ecco perché dico che Napoli in questo aiuta, è a misura d’uomo. Io che vengo da Pozzuoli posso conoscere lui che viene dal Vomero e così via.
Tornando al disco, mi raccontate cosa c’è dietro a SP e La danza del genio?
Fabrizio: SP è il pezzo che non vedo l’ora di fare dal vivo, anche se io in quel pezzo non canto - ridono, ndr. Non vedo l’ora di sentirla live perché è una canzone che ha scritto Peppe (l’altra metà degli Specchiopaura, ndr) e l’ha dedicata a me, mentre io gli ho dedicato La danza senza genio.
Rainer: C’è questo scambio epistolare di canzoni…
Gabriele: Di “chi t’è muort” perché in realtà vi offendete a vicenda
La sensazione del passato che non torna è un tema che ricorre spesso nei vostri pezzi, per esempio in “Tempo”: mi raccontate com’è nato?
Lukylapolo: Tempo è proprio nata dopo la pandemia, è nata proprio come presa di coscienza del poco tempo che abbiamo avuto e di quello che abbiamo perso, è un promemoria. Io me la riascolto ed è un po’ come se parlasse al me stesso del futuro e gli dicesse:
Ok, hai perso abbastanza tempo a cercare un cielo un po’ meno scuro, magari rimanici sotto questo cielo scuro e prova a costruirci qualcosa che non te lo faccia odiare così tanto.
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