di Chiara Monateri
13.09.2019
Tempo di lettura 14'
Luca Pace, in arte The Night Skinny, nato nel 1983, pubblica oggi il suo nuovo disco Mattoni e dentro ci sono tutti.
Noyz Narcos, Marracash, Capo Plaza, Gué Pequeno, Fabri Fibra, Rkomi, Luchè, Ernia, Quentin40, Tedua, Lazza, Ketama126, Side Baby, Speranza, Shiva, Franco126, Izi, Jake La Furia, Taxi B, Madame, Vale Lambo, Lele Blade, CoCo, Geolier, Chadia Rodriguez e Achille Lauro.
Producer che mette prima di tutto la ricerca, The Night Skinny crea un sound che unisce l’hip hop anni ’90 con l’EDM e il caribbean flow. Lavora metodico, rapido e come tutti quelli bravi davvero non è mai soddisfatto.
Ci ha raccontato com’è stato il viaggio di realizzazione, personale e corale, del suo ultimo album.
Foto © Vito Maria Grattacaso / LUZ
Mattoni dà l’idea di solidità, però poi l’artwork dell’album allude al mattone napoletano, che è una truffa
Ho puntato tutto sul consegnare a chi mi segue un progetto mega solido, come se fosse un palazzo fatto di tanti mattoni dove non c’è un vero e proprio singolo, ma tutti e 16 i pezzi mi hanno convinto sin dall’inizio e hanno permesso che il disco potesse esistere in questo modo.
Per quanto riguarda l’aspetto grafico, tendo sempre a trollare il mio fan medio.
Fisicamente il disco ha una confezione, che sembra quella di un iPhone, ma dentro non trovi il telefono, c’è il disco, e quindi ecco l’inculata.
Hai messo nel disco il meglio del rap italiano: è complicato come sembra mettere insieme tutti questi artisti?
Se fai un lavoro che coinvolge tanti artisti devi essere metodico e veloce, perché molti dei nuovi entrano in questo gioco senza un management, e quando questo arriva cambia tutto: vengono fatte richieste per modificare i pezzi e slittano le tempistiche. Sai che chi è nuovo si vuole migliorare, quindi magari vuole rivedere le strofe dopo aver ascoltato quelle dell’artista più conosciuto, sentendosi in competizione.
Mattoni esce a circa due anni da Pezzi (l’album precedente) con lo stesso numero di brani, 16. È un numero simbolico?
No, è del tutto casuale. Da Mattoni ho anche tolto quattro, cinque pezzi che non mi convincevano del tutto. La differenza sta nella gestazione del disco: Pezzi era una raccolta di brani usciti anche tempo prima, invece con Mattoni ho deciso di andare a stecca e ho raccolto tutti insieme degli inediti senza uscire prima con nessun tipo di singolo.
Il 16 non è un numero comune per le tracce di un album
Normalmente si va dalle 8 alle 11 tracce: con 16 cambia tutto, l’ascoltatore medio può perdere l’attenzione strada facendo, ma io punto sempre su qualcosa di diverso e ambizioso. Per me fare un disco è fare un lavoro completo, un’enciclopedia dove possono coesistere molteplici realtà.
Si sa che sei molto veloce a realizzare i pezzi: quanto ci hai messo a fare questi 16?
Ho fatto Mattoni ancora più velocemente di Pezzi. L’ho iniziato il 27 Settembre dell’anno scorso e l’ho chiuso due mesi fa circa, attraversando anche temporali e tempeste varie, che succedono sempre nella realizzazione. Mi sono concentrato moltissimo per avere questo risultato, non ho lavorato per altri artisti e ho dedicato quest’anno solo al mio disco curandolo nei minimi dettagli: in più pezzi ci sono tre, quattro artisti insieme.
Come hai lavorato sui sample?
Uso sempre YouTube, è la base delle mie giornate.
Comunque campiono qualsiasi sorgente, da YouTube per pezzi con basi molto EDM anni ’90 come Saluti o 0 Like, fino ai vinili, e altro. Mi piace lavorare sia con cose super high-end sia super lo-fi, mi piace tutto.
Infatti in Mattoni c’è dall’hip hop anni ‘90 fino a beat contemporanei con caribbean flow: come hai trovato un’unità in questo sound pieno di tutto, anche con gli artisti?
Ho lavorato subito sulle basi. Dopo Pezzi volevo fare un upgrade: ho detto al mio management che non volevo più fare un disco indipendente con risorse limitate. Quindi subito dopo l’uscita ho scritto a Jake La Furia, gli ho detto che avevo già pensato a lui per dei pezzi nuovi e mi sono messo subito al lavoro sul sequel di tutto questo che è poi diventato Mattoni: per questo è un disco così solido.
All’uscita di Pezzi dicevano che nei tuoi album c’è tutto il meglio di quello che c’è in giro, dai veterani alle nuove leve, da Gué a Rkomi: ora siamo già arrivati da Gué a Chadia e Madame
Sono un attentissimo ricercatore, ogni giorno seleziono sui social delle nuove sensation della musica. Sono stato il primo a contattare Madame: abbiamo lavorato su due, tre brani, e infine ho scelto Rosso per Mattoni.
Il salto è stato velocissimo: all’epoca di Pezzi c’erano pochissime artiste donne, ora è cambiato tutto
Si stanno guadagnando molto spazio: per questo album ho puntato su una figura più introspettiva, che è Madame, e su una più all over the place che è Chadia, sono contento di quello che è venuto fuori con entrambe. Penso che le ragazze possano arrivare ovunque: Madame e Chadia in particolare sono due talenti emergenti, giovanissime e con ancora molta strada da fare.
La produzione ha un ruolo sempre più centrale: si dice che il producer sia la nuova rockstar
In Italia non è mai stato una figura di riferimento, chi dirige l’orchestra è sempre stato molto sottovalutato. Io i dischi li ho sempre fatti, da quando nessuno calcolava questo ambiente, quindi per me è facilissimo coesistere con tutto il resto: il mio profilo è sempre basso, non mi piace espormi troppo sui social. A 36 anni è difficile vivere questo momento di sovraesposizione, Instagram è schizzato e ogni giorno ho a che fare con decine e decine di richieste, molti hanno iniziato a conoscermi adesso.
Interagisci coi fan?
Certo, rispondo anche ai direct: è giusto rispondere alle loro domande. Questo disco poi ha bisogno di una gestazione lunga, non puoi ascoltarlo una volta, è un disco che ha bisogno di galoppare perché è pieno di contenuti. Stamattina mi sono svegliato con un bellissimo messaggio della Zukar, a cui ho fatto ascoltare il lavoro in anteprima, in cui mi dice che è un lavoro ambizioso dove si sente che tutti quelli che ne hanno fatto parte l’hanno fatto per passione vera nei confronti della musica e di questo progetto.
Cambieresti ancora qualche dettaglio, tu che ci hai lavorato?
Quando ho consegnato l’hard disk dell’album era perché era da consegnare, perché altrimenti sarei andato avanti a rivederlo all’infinito.
C’è un video di Instagram dove Marracash incontra Noyz al ristorante e gli chiede se ha riascoltato un pezzo, e lui gli risponde “No, perché?”. E Marra gli dice: “Perché Night Skinny gli ha cambiato la base di nuovo”.
È un album molto denso, con molti layer
Inizia con Street Advisor che è molto Wu-Tang, con uno stile molto street, appunto: volevo mettere subito in chiaro che il mio sarebbe stato un disco così. Non me ne frega niente delle statistiche e di tutti gli studi che dicono che adesso cala l’attenzione dopo un attimo, e tutte quelle paranoie da app.
In realtà è un disco molto intelligente per l’ascolto contemporaneo: ogni pezzo funziona benissimo da sé, anche slegato dal contesto dell’album
Proprio per questo motivo non ho scelto un singolo. Infatti non ho fatto pezzi radiofonici di proposito: ogni traccia deve funzionare da sola. Quello che non funziona è stato lasciato fuori dal disco, e vedremo di farlo funzionare magari in seguito.
Quindi niente singoli?
No.
Non usciranno neanche dei video?
Stiamo lavorando e dobbiamo vedere un po’ cosa ne uscirà, faremo delle scelte folli ovviamente.
Il rap è ancora la musica che viene dal disagio, o, come sostengono molti in Italia, sta diventando con la trap musica fatta da “ragazzini ricchi”?
A me interessa solo il contenuto, non m’importa se uno sia ricco o povero. Io ascolto di tutto, dal ragazzino che mostra l’orologio a chi evita di farlo e si concentra su altro. Credo che la musica viaggi col tuo stato d’animo: non puoi ascoltare tutto il giorno la stessa cosa. In alcune fasi puoi voler ascoltare qualcosa di più soft, poi qualcosa di più uplifting… io i dischi li faccio così. Chiaramente le liriche di Marracash non si possono paragonare a quelle di Ketama126, non nel senso che uno è meglio dell’altro, ma è una questione di caratteristiche: ognuno ha i suoi concetti e il suo stile.
Magari non è quanto hai, ma anche da che tipo di ambiente vieni
Esatto. Poi Milano ti mette comunque nelle condizioni di potercela fare: io vengo da un paesino del Molise, da un contesto molto basic, a casa mia non è che si ascoltassero grandi dischi: ho cercato di “cibarmi” di qualcosa di diverso, ed è per quello che oggi consegno un disco così. Se ho utilizzato dei sample EDM, per esempio, è perché l’elettronica c’era alla festa del paese, andavi in sala giochi o a mangiarti un panino con la tipa, e c’era quella musica lì.
Vieni da un background di elettronica e hip hop o ascoltavi anche altro?
Come tutti ho iniziato attraverso quel momento di confusione in cui volevo suonare la chitarra, ho comprato due dischi degli Iron Maiden e uno dei Nirvana. Da giovane e inesperto, in un paesino in cui tutti per fare gli alternativi facevano cose come rubare un motorino o fare a botte sotto i portici di scuola, mi sono detto, voglio fare una cosa diversa. Ho iniziato a comprare i dischi e a fare il dj e poi ho iniziato a produrre: il tutto viene da sé.
Ovvero?
Quando inizi a comprare i dischi, inizi a documentarti su dove sono stati fatti, chi li ha fatti, di dov’è Nas, di dov’è Biggie e ti dici alla fine: ok, come si fa questa cosa?
Ai tempi non c’era nessuno che poteva insegnarti, specialmente a distanza perché non c’era internet, ed io comunque non ce l’avevo, e poi con l’avvento di Napster e i primi programmi per scaricare musica ho cominciato a fare una ricerca più accurata, però io preferivo la copia fisica degli album, per potermi documentare meglio.
In 0 Like e Mattoni ci si dissocia da quelli che vivono per i brand di lusso e che mandano solo emoji
Al di là dei marchi, chi fa trap, per sopravvivere deve imparare a fare anche rap. Siamo in un momento in cui i grandi capi oltreoceano ci dicono che tornerà il rap, e spesso ti accorgi che chi viene dal rap sa anche fare trap. Tu dirai, ma che differenza c’è? Ti parlo di una condizione per la quale tu debba mantenere dei contenuti per un tot di barre… La trap a me piace ma a volte è schiava di cifre stilistiche.
Lo stile non t’interessa?
A me dei marchi importa veramente poco. Sono uno che ricerca tantissimo, sono fan della roba tecnica, del camo, del gore-tex, di quello potremmo parlare per ore. Per me belle scarpe sono le Visvim, se voglio spendere 700 euro. Mi piacciono i brand dove lo stilista stesso fa un tipo di ricerca che non credo interesserebbe a un ragazzino che segue le mode. La cosa da ricordare è che tutti possono averle certe cose, ma bisogna saperle indossare.
Nell’album viene anche citato Giannasi (storica gastronomia milanese di Porta Romana famosa per i polli arrosto). Il rap è ancora un mondo local in Italia o è global come negli USA?
Per me rimane local. È una bella citazione quella di Noyz: nella canzone i “polli sacri” sono i subumani, quelli che vivono per farsi una foto e non capiscono che una stretta di mano è più importante. Una volta ti fermavano e ti facevano domande sulla tua musica e sulle tue rime, c’era un minimo di scambio. Ora c’è quest’ossessione della foto, anche da parte di chi non sa chi sei.
Puoi sempre dire che sei un calciatore
Son troppo vecchio per esserlo, poi non so niente di calcio. Comunque io voglio bene a tutti, ma vorrei essere fermato il meno possibile: vorrei che le cose fossero rimaste come qualche anno fa.
Nell’album si vedono più lati anche dei singoli artisti
Ho discusso col mio management molto spesso, non in modo negativo, ma era necessario per certe scelte: questo album l’ho fatto tutto da solo, seguendo le mie idee. Per esempio Rkomi nel mio disco è molto rap, ma comunque in Fare chiasso con Quentin40 il ritornello è mega orecchiabile: c’è comunque una cornice mega rap che lo fa sembrare uscito da Jackie Brown di Tarantino, e sono mega felice di questo risultato.
In più pezzi c’è il richiamo all’Italia che giudica e crede ancora alla tv. Siamo un Paese per vecchi?
Stiamo vivendo comunque un ricambio generazionale molto forte in questo ambiente musicale: le cose stanno cambiando grazie anche a singoli di successo come Calipso o Soldi. Per quanto mi riguarda, voglio continuare a fare le cose a modo mio: ad esempio Mattoni è pieno di citazioni, proprio come i dischi rap di Method Man o Fat Joe.
Il fatto di andare veloci col cambiamento porta anche tante liriche a diventare più “pop” e politicamente corrette, come non lo erano quelle di Fabri Fibra di anni fa
La sua natura è sempre stata quella, mega dissacrante: lui è stato il primo ad approdare in major facendo quello che voleva, ed è stato lui ad aprire tutto un mercato. Ieri ci siamo rivisti e lui è l’unico che ogni volta che lo becco mi fa un’analisi sulla canzone. “Questa è fatta bene, il ritornello unisce le strofe e si lega bene a quello che dice Gué”.
E io mi dico, ma davvero hai ancora questa fotta mega hip hop di darmi sempre una spiegazione importante, un punto di vista incredibile e che vale davvero su quello che ascolti?
Con alcuni artisti siete amici, a parte il collaborare?
Sì, col 90% di quelli che sono nel disco. Lavorare con gli amici funziona e te ne rendi conto da quello che senti, non sono delle strofe appoggiate sulle basi ma sono delle vere e proprie canzoni. Il disco da produttore è difficile: quando fai l’album di un singolo artista tutto viene più semplice e coerente. Nel mio caso invece il collante sono le musiche, ho puntato tutto su quelle e ho cercato una continuità, perché tutti i pezzi sono abbastanza street ma con caratteristiche diverse… alla fine si sente che è il mio disco, non ho bisogno di un tag iniziale che lo dica nei pezzi, quindi sono abbastanza felice di questo album: non riesco più ad ascoltarlo da quanto l’ho sentito.
Dove vai in vacanza?
Vado solo in due posti, sempre: New York e Tokyo.
E questa volta dove vai?
A New York, perché le ultime due volte son andato solo a Tokyo in un anno, ed è stato un po’ ridondante.
Per Pezzi era stata sollevata una polemica che diceva che incitavi all’uso di droga: cosa non vorresti fosse detto su Mattoni?
Io non ho mai, e ripeto mai, coi miei dischi consigliato di drogarsi o simili a nessuno, tantomeno ai ragazzini. Pezzi, e dalla copia fisica si vede benissimo, non era altro che una fanzine con le foto di Boogie, fotografo mega influente negli anni ’90 che ha scattato i Wu-Tang. Abbiamo fatto questa fanzine, me l’ha regalata, abbiamo fatto delle foto a Milano: poi quando è uscito il disco è partita la trollata. Per Mattoni non ci siam fatti fregare, hai una specie di pacco di Apple che quando lo apri se sei intelligente capirai un po’ di cose, altrimenti è comunque un disco mega solido.
Anche il trollaggio può aver senso, altrimenti anche i prodotti nuovi sono sempre uguali a qualcosa che è già stato fatto
Infatti, ed io non ho mai fatto niente uguale a nessuno. Anche la strategia che abbiamo attuato è tutta farina del mio sacco. Non abbiamo dovuto assumere uno studio creativo, ho la fortuna di lavorare con un art director come Giorgio Di Salvo che sviluppa tutti miei merchandising, artwork, le versioni deluxe. Siamo amici e condividiamo proprio passioni per l’audio professionale, per i vinili, per i sound system, per i viaggi… lui è la persona che mi ha trasmesso questa cosa di non essere mai soddisfatto. Sono diventato come lui, non sono mai soddisfatto. Se faccio una cosa figa, ne voglio fare un’altra figa, e un’altra figa ancora.
Così ti evolvi
Vero, però poi magari ti evolvi troppo velocemente.
Anche il non essere capiti completamente è incluso nel pacchetto di andare più veloce del mainstream?
Vero, prendi ad esempio i miei dj-set: si ballano, ma balli sempre con roba urban e raffinata: io sono anti-cafonata. Farò il mio giro di dj-set solo in posti dove mi sento confident, non vado nelle discoteche con le tipe che mi ballano dietro e la gente che fa la spaccata sul dancefloor, come in passato mi è successo. Faccio una performance di un’ora, non un’ospitata, e vado via.
La verità poi è che alle 11 di sera dormo, e se suoni fino al mattino diventa una cosa pesante, anche perché sono uno di quelli che anche se va a dormire alle 5 poi si sveglia alle 8.
Ti ha tenuto sveglio più del solito lavorare su Mattoni?
Sì, in questi giorni e in queste ore del lancio. Ho un’ansia incredibile. Quando lavori con una multinazionale è come una scuderia, vogliono tutti vincere, che è giusto, perché sennò cosa stiamo a fare. A me piace comunque divertirmi, far cose nuove: quando la roba diventa meccanica, non è la mia. Nell’ultimo anno ho deciso di circondarmi solo di persone che mi fanno star bene e che sono quelle che possono venire quando vogliono in studio ad ascoltare le cose, a parlare, e a lavorarci.
Spiega meglio
Non voglio più ansie di nessun tipo, è un ambiente mega competitivo, e competere non è da tutti. Se io volevo apparire di più avrei fatto magari il rapper, ma non è il mio. Ok la visibilità, ma io non sono mai stato un leader, in quel caso avrei aperto un’etichetta mia. Ho bisogno di avere vicino un manager: ho tante idee e ho bisogno di chi le mette in ordine.
In Italia hai già collaborazioni invidiabili. Una nuova, magari internazionale?
Il mio sogno nel cassetto è Pusha T: con lui mi sento allineato. In Italia, quando voglio fare un pezzo con qualcuno te ne accorgi, per questo Mattoni è un prodotto solido: se avessi avuto un paio di mesi in più avrei coinvolto anche qualcun altro, ma sono contento dei featuring che ci sono.
Lavori molto da solo: ti pesa?
Finché reggo continuo in questo modo: quando fai un disco così lo vuoi far da solo, perché è il tuo, poi io sono uno che non molla l’osso. Vorrei provare anche le co-produzioni in due o tre come negli Stati Uniti, ma al momento ancora non c’è stata l’occasione.
Da solo il lavoro è stato più lineare?
Mi sono ispirato a tante cose, non sono uno sciamano dell’industria, sono uno che ha preso delle cose anni ’90 e le riportate fino a oggi, che ha preso dei riferimenti fighi e li ha fatti a modo suo, qua nessuno inventa niente. Ho il mio stile e ne sono felice. Non pensate che sia semplice mettere insieme i sample nel disco, dopo che li ho fatti sono rimasto in depressione per due mesi: Saluti, per esempio, è stata un incubo.
Quando vai in paranoia hai un metodo per affrontarla?
No, sono un pazzo.
C’è chi ti chiama dj, chi ti chiama producer e chi con definizioni lunghissime. Tu come ti definisci?
Sono un personaggio abbastanza unico. Mi definiscono come un motivatore, uno che riesce a far coesistere diverse realtà all’interno dello stesso pezzo, che non è una cosa semplice, ma nemmeno impossibile. Mi definisco una persona innamorata di questo sound e di questa corrente, mi piace l’hip-hop, mi è sempre piaciuto. Probabilmente smetterò di produrre dischi, non so quando, e mi piacerebbe sempre lavorare in questo ambiente, magari seguendo qualche artista. Vedremo.
Un consiglio o un non-consiglio per chi vuole prendere la tua strada?
A oggi, se dovessi pensare a delle pubblicazioni, lo farei pensando a singoli. Conviene di più, in questo modo fai girare i pezzi, e poi magari li unisci in un prodotto. Con Mattoni sono voluto uscire a schiaffo, è una cosa mega ambiziosa, mastodontica, però è nel mio stile. Non me la sento di consigliare niente a nessuno, se non di avere il proprio stile e di essere originali. Questo è quello che conta di più: io non sono DJ Khaled, io sono Night Skinny. Nessuno mi ha mai mandato un pezzo in digitale e nessuno mi ha mai mandato una strofa via mail, tutti vengono in studio a farla da me: sono uno che ci tiene sempre a conoscerti, e a lavorare a stretto contatto.
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