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Trend

Napolicore

di Sofia Tolentinati

26.05.2023

Dalla musica alla moda, ai video
virali su TikTok, alle serie tv e ai
reality: tutti vogliono un pezzo di
Napoli.

Tempo di lettura 10'

La vittoria del terzo scudetto e l’autenticità delle vie strette della città: l’orgoglio di essere di Napoli.
Una patria che “acquisisce” volentieri anche chi non vive lì, Napoli è diventata in tutta la sua essenza extra-cittadina un vero e proprio cultural pop trend made in Italy: piace anche all’estero e occupa tutte le fette del cultural system, dalla musica alla moda, ai video virali su TikTok. Te voj bben’ assaje.

We <3 Napoli: goliardia preannunciata o risultato di tanta costanza?

Fotografia © Vito Maria Grattacaso

Una subcultura per molti, un lifestyle per tutti: Napoli ottiene una rivincita.

Sofia Tolentinati

Se da un lato la città di Napoli e in particolare i suoi abitanti hanno costituito per molti decenni una costola di quella popolazione italiana tanto colpita dallo stereotipo del trittico pizza-malavita-mandolino, dall’altro è proprio questo il main core della piacevolezza di Napoli in toto. Una subcultura per molti, un lifestyle per tutti. Proprio dalla costante essenza più autentica, Napoli ottiene una rivincita.

Un viaggio greimasiano verso lo scontro col mostro finale, che è l’accettazione nazionale di uno state of mind, Napoli è l’eroe che si fa forte delle sue armi cittadine e affronta l’ultima prova: la vittoria dello scudetto ‘23.

 


Questa vittoria ha significato molto più di una soddisfazione calcistica: ha significato che Napoli c’è. Alla stregua dei feticismi più intimi dei social media, che aggiungono il suffisso -core a tutte quelle tendenze che durano più di 100 contenuti, un tempo biblico sulle piattaforme della fast view, si può ampiamente parlare di

Napolicore: un immaginario della cultura partenopea come trend popolare, che cioè piace al popolo, ma dal popolo parte anche.

La rappresentazione mediatica di un media “old money” come la TV resta ancorato agli stereotipi di un lifestyle made in Napoli fatto di malavita e gerarchia. Dopo “Gomorra”, l’iper successo della serie Rai “Mare Fuori” dimostra che Napoli ci interessa (ancora di più) quando è rappresentata nei suoi anfratti più oscuri, quelli della malavì e dei quartieri peggiori, tanto pericolosi quanto belli. Carcere, dialetto spinto e uaglioni in motorino senza casco: agitare bene per un successo assicurato.

Non ci sono eroi nel mondo di Mare Fuori, solo anti-eroi, così esageratamente reali da farsi immagine concreta dell’unica vera Napoli che tutti si aspetterebbero di vedere. I preferiti della serie, Rosa Ricci ed Edoardo Conte, sono malavitosi di seconda generazione, ragazzi affascinanti ed enigmatici, che da un lato raccontano la rassegnazione al ghenos della colpa, dall’altra la speranza di una redenzione possibile perchè ci sta o’ mar for. L’amore per Napoli, la devozione alla famiglia e l’onore sono i valori che rendono riconoscibile l’identità dei napoletani fieri rappresentati in TV.


Oltre alla solida struttura narrativa, infatti, i temi incrociano saggiamente i generi teen drama + prison drama e oscillano fra il il realismo sociale e filo-bohemien di “Un posto al sole” e la crudezza di “Gomorra”, entrambi ugualmente ambientati a Napoli. Alla base, un sapiente uso del dialetto napoletano, che seppur oggetto di sottotitoli, è già nel vocabolario comune di un italiano: parole ed espressioni come sfaccim o t’accir, tra le più ripetute della serie, sono facilmente intuibili se non nel significato letterale, nell’accezione.

Il dialetto napoletano è diventato imprescindibile nel palinsesto televisivo, dove oltre alle serie tv anche i reality si accapigliano per avere nella rappresentanza l’accento più maccheronico, le espressioni più autentiche - di certo, mai dissimulate. Da Antonino Cannavacciuolo di Master Chef (e ancora Cucine da Incubo, Chef Academy, O’ Mare Mio, I menù di Cannavacciuolo) a Tommaso Foglia di Cake Star, a Don Antonio Polese de Il Boss delle Cerimonie, a Ida Di Filippo del nuovissimo Casa a Prima Vista.

L’identikit è lo stesso: abiti coloratissimi, gesticolazione forzata, simpatia dirompente e dialetto marcato. Da Master Chef, a Cake Star, a Casa a Prima Vista: il “giudice” napoletano è quello simpatico, ruspante, empatico a immagine e somiglianza didascalica di una terra accogliente e verace.

La trasposizione social di quanto appena detto sta nella viralità dei video di televendita su TikTok: commercianti, impiegati e venditori che promuovono l’acquisto di qualcosa a ritmo di uè uè. Gigiolone Pescheria, New Martina, Monelli Kids, Donato De Caprio, Patrizio Chianese, per fare qualche esempio di questo inspiegabile successo da milioni e milioni di views.

 

@newmartina

 

♬ suono originale - NEWMARTINA2

Oggi Napoli esce dallo sfondo e diventa protagonista.

La sezione dei “per te” di TikTok come una piazza aperta, un mercato rionale dove tira la bancarella al prezzo più basso o con l’urlo più convincente, una serie di spot televisivi di un Mastrota che si è adattato alle nuove esigenze dei più giovani: il venditore dell’anno è quello con più like. E quella di Napoli è una formula vincente: simpatia, spavalderia e buon nome da generazioni, da San Gregorio Armeno a via Toledo si sa che il primato della vendita è suo - d’altronde, quella di Napoli era l’unica aria che si poteva, letteralmente, vendere.

Sulla piattaforma sound-first, anche i suoni costituiscono elemento di riconoscibilità per le tendenze più virali: da Clementino a Liberato, da Geolier a Capo Plaza, da Luchè a Paky tutti amano la trap napoletana.

Lontana dal neomelodico, genere musicale di Napoli per eccellenza, i trapper napoletani raccontano le difficoltà della vita di quartiere/strada, la cazzimma che li ha guidati al successo di una musica di realtà. Ben lontani dalle domeniche d'agosto di Gigi D’Alessio e dall’amore cantato dalla old-school di Napoli, tendenzialmente apprezzata (anzi, osannata) entro i confini partenopei, oggi i trapper di qui piacciono a tutta Italia e scalano le classifiche di Spotify. In comune con i loro parenti del neomelodico hanno più di quanto si creda: la musicalità innata di un dialetto armonico, basi musicali e ritmate, orecchiabili e facili da ricordare, ma soprattutto un pubblico fedelissimo.

A segnare un limen, invece, i testi.

I trapper di Napoli parlano di Lambo e di quartieri, di donne-oggetto e pistole: sono davvero così vicini alla realtà della Gen Z e della gen Alpha, il loro pubblico target per antonomasia? No, ma piacciono tanto perché sfogano quella necessità di ribellione pre-adulta e sedano quel delirio di onnipotenza che fa capolino sul fine dell’adolescenza. Come i trapper, si hanno al massimo i vestiti.

Il Napolicore trova la sua massima espressione nella fashion uniform di un dresscode targato “extra”, con loghi in vista, accessori monogram, tuta, piumino smanicato, sneaker di lusso, borsello a tracolla (la sacoche, NdR), ma anche “maniacale” per una cura accesissima del dettaglio, l’attenzione per la scelta di gioielli e profumo verso una ricerca estetica del bello.

Oggi, si aggiunge anche il colore azzurro come dettaglio imprescindibile dello stile Napolicore, che diventa più esplicito e al contempo più patriottico usando il colore della squadra di De Laurentis. Tra le celebs più famose, una delle prime ad indossare la maglia del Napoli è stata Emily Ratajkowski che ha contribuito all’impennata dell’hashtag #Napoli, che oggi conta più di 21M di post su Instagram, o, ancora, Drake e Patricia Manfield.


È vero che Napoli è da sempre parte integrante della moda, diventando spesso location di campagne prêt-à-porter: dall’antonomasiaco amore di Dolce&Gabbana alla recentissima svolta partenopea della campagna SS22 di Vivienne Westwood, ambientata tra il lungomare di Mergellina e i Quartieri Spagnoli. 

Il punto di riflessione più intimo del trend Napolicore, infatti, è da ricercarsi nella passionalità di un modus vivendi metropolitano autentico e che c’è sempre stato, la differenza è che oggi questo modo di fare è diventato, appunto, trendy. Napoli non si è mai spogliata delle proprie peculiarità per essere più cool o più sexy agli occhi di utenti e turisti, e proprio questo oggi la pone sul piedistallo.

Le parole del sindaco Manfredi traducono l’istintività radiosa di una città che ce l'ha fatta grazie alla sua identità e alla sua coerenza e che augura a tutti “di festeggiare i successi della vita proprio come fa Napoli”.

Di Napoli si è sempre parlato, la differenza è che ora se ne parla bene. Con 18 miliardi di views associati all’hashtag, è la città più cliccata su TikTok e Instagram, è la protagonista delle fiction più acclamate, la campionessa del calcio italiano. Per anni antonomasia di decadenza e truffe, oggi gli stessi media che la sciupavano la celebrano, mentre sui social addirittura la osannano.

Sarebbe forse più opportuno parlare del trend Napolicor’ a riconoscenza di tutto il sentimento e il positive mood da sempre in linea con questa città eccezionale, che in silenzio si è vestita del suo abito migliore senza fretta, scegliendo con cura. Ha aspettato che qualcuno guardasse, senza chiamarlo: magari c’è voluto un pò, ma l’azzurro lo vedi.

Ci voleva un altro scudetto per Ricominciare da tre, come suggeriva il titolo del celebre film.
E siamo tutti uscit’ pazz’.

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